Confesso che non volevo vederlo. Le confessioni di Roberto Andò, film uscito da poco nelle sale, leggendo la sinossi, guardando il trailer su Youtube, lo credevo pesante, lento e noioso. Un film con un cast di primissimo piano, tra cui Toni Servillo, protagonista nelle vesti di un frate certosino scrittore.

Lavoro da decenni nel mondo dei media e l’assuefazione, anche di film belli e interessanti, fa sempre capolino a uno sguardo personale sempre più inspessito e stanco. Ma l’incontro fortuito, quasi forzato, come accaduto, a volte porta inaspettatamente a risvolti sorprendenti. Le confessioni, premetto, non è un film “spirituale” o con un approccio narrativo di tipo religioso. È un giallo. Ritmi lenti ma delicati, mai superflui; e la centralità di cui riconosco una cristallina bellezza sono i dialoghi, colpi delicati ma potenti di fioretto che il frate certosino pone di contrappunto nelle parate e relativi affondo a colpi assestati con forza dai personaggi che man mano gravitano attorno a lui.



Tutto si svolge in un grande e lussuoso hotel. Un incontro internazionale, un summit, come oggi è di moda sentire dai media, dove ministri politici, economici e finanziari di tutto il mondo occidentale, e in particolare europeo, si incontrano per decidere strategie e futuro delle loro nazioni.

Tra i partecipanti (non a caso) viene invitato un frate certosino (Toni Servillo) il quale, suo malgrado, sarà testimone di una morte violenta del capo delegazione, nonché presidente del Fondo monetario internazionale. Succede però che il presidente, la notte prima della decisiva riunione con la delegazione, chiede al frate di potersi confessare. Fin qui il sunto narrativo.



Il punto, il giudizio “profondo” meglio “il risveglio” lo regala la sceneggiatura, attraverso i bellissimi dialoghi che diventano loro stessi testimonianza di quest’epoca;. fotografano una contrapposizione decisiva. Da un lato, il pensiero forte del potere finanziario, che ha l’unico scopo di auto rigenerarsi: potere per il potere, senza fondamenta se non quelle poggiate su una logica nichilista e strettamente funzionali alla sua auto deterrenza. Dall’altra, “esce” una risposta “essenziale”, “radicale” nel suo senso più profondo, in cui il frate certosino, erudito scrittore, “ridesta”, “richiama” e pone al centro delle dinamiche narrative la “costituzione” di gran parte dell’identità culturale, oltre che spirituale, dell’Europa stessa.



Si gustano davvero questi dialoghi che, come si accennava, diventano incontro e scontro da due schermitori, dove le sciabolate di logiche in apparenza forti e consolidate ma in realtà “geriatriche” e asfittiche trovano le parate e gli affondo in un “fioretto” fatto di semplicità: il pensiero cristiano e la sua originalità, che fanno sobbalzare lo spettatore. Ne emergono contrapposti (ma le cose poi si agganciano come puzzle tra loro) la bellezza del pensiero cristiano che spiazza nella sua disarmante efficacia rivitalizzante verso l’essenziale e un pensiero culturale, in questo caso finanziario ed economico, privo di contatto col reale, staccato da una “carnalità attuativa” di concreta salvezza e progettualità al servizio dell’uomo.

Sono testimone in questi anni, insieme a molti della mia generazione di cinquantenni, come gli opinion leader, i media, la carta stampata, si sono sempre affrettati – davanti a emergenze paradossalmente ormai cronicizzate, come crisi finanziarie, economiche e non ultime terroristiche – a cercare risposte sull’originalità fondante e di riferimento dell’identità culturale europea, sempre più persa, distratta e svuotata di punti cardini essenziali, di timoni forti che permettano l’affronto di burrasche epocali senza perdere la rotta.

Ovviamente “l’ansia di prestazione”, corroborata da analisi ancora spurie di ideologie più o meno annacquate, hanno portato a risposte povere, stanche, vuote, rispetto alle sfide e a ciò che accade ed evolve continuamente nel presente.

I dialoghi leggeri ma potenti di questo semplice frate dal saio bianco sono “sintesi” rara e decisiva verso questa ricerca – che i più presuntuosi si affannano a dare e i più semplici a cercare – di quello che però c’è sempre stato. Questo accade ed è accaduto spesso anche nella stessa galassia culturalmente cattolica, perché anch’essa non è esente da tsunami epocali. Il frate “spacca” tutto questo, lo “scrosta” con quella semplicità e determinatezza dettate paradossalmente dalla regola certosina per antonomasia: il silenzio…

Un film ovviamente romanzato, decisamente laico e senza pretese moralizzatrici (il personaggio-frate magistralmente interpretato ne è la conferma), trasversale alla politica (non attacca nessuno se non un pensiero stanco e in necrosi avanzata ma… ancora tremendamente potente), regala al pubblico che lo vede il vero scopo che un film dovrebbe sempre dare: far riflettere e pensare e… come dice il frate certosino far muovere coscienze verso un cambiamento.

Un film che diventa, forse inconsapevolmente, elogio al pensiero originale cristiano, testimone di una cultura, quella europea, in crisi profonda e salvifico rispetto ad un nichilismo imperante in tutti i campi del sapere, in primis quello finanziario-economico.

Otto euro spesi bene, fidatevi.