La desolazione del paese a tutto campo, rappresentata da una carrellata della cinepresa lungo un muro di mattoni, introduce il film, tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Ferrandino e candidato al Festival di Cannes, dal titolo Pericle il Nero (regia di Stefano Mordini), che riprende il nome del protagonista, mentre quest’ultimo, inquadrato di spalle, s’incammina verso la sua prossima spedizione punitiva. 

È una giornata assolata e la sua voce in sottofondo spiega i segreti del “mestiere” allo spettatore. Lavora infatti per conto di Don Luigi Pizzo (Gigio Morra), un boss camorrista emigrato in Belgio. Il suo compito, almeno all’inizio, è quello di stordire, non uccidere, “facendo il culo” alle persone che si oppongono all’estorsione criminale del suo capo e godendo della loro umiliazione. Tuttavia, Pericle Scalzone (Riccardo Scamarcio), detto “il nero”, viene circondato e deriso in soggettiva dai suoi colleghi mentre, nel silenzio contrapposto al rumore dei suoi pensieri, testimoniato attivamente dalla cinepresa, capisce suo malgrado che incomincia a esserci qualcosa che non va. Ogni volta che prova a ricordare l’infanzia con sua madre “ha il fuoco in testa”: da una parte, mentre è in corso una faida interna, Pericle, nel silenzio di una chiesa apparentemente vuota, commette un grave errore credendo di aver ucciso la Signorinella o “Sorinella Iattura” (Maria Luisa Santella), che avrebbe dovuto essere protetta, e scatta la sua condanna a morte. Dall’altra conosce Anastasia (Marina Fo?s), un’onesta e gentile panettiera che lavora sodo e lei, prima sospettosa poi innamorata, grazie all’incantesimo della personalità insistente, misteriosa e magnetica di lui che le offre un semplice caffè, lo fa entrare nella sua vita senza giudicarlo. 

Così, camminando lungo la spiaggia, con lo sguardo puntato verso il mare, Pericle resta dilaniato tra un passato che continua a inseguirlo senza tregua e il desiderio di crearsi una famiglia, avere una seconda possibilità, una vera casa. Travolto da altri criminali e poliziotti che vogliono chiudere i conti con lui, fugge e diventa un killer senza volerlo: il sacchetto che riempie con la sabbia per stordire, si trasforma in laccio per soffocare e coltello per infierire, uccidendo definitivamente. Pericle, così facendo, dall’Italia arriva a Calais in Francia, dove si muove nell’oscurità della notte, senza patente di guida, cercando un rifugio. 

A suon di chitarra e di humour nero, dunque, questo thriller e road-movie passa dal rapporto con Anastasia, tra disillusione e menzogna, alla verità attraverso la “Sorinella Iattura”. La personalità complicata, ma non così cattiva, di Pericle tra ombra e luce, rivela in realtà il suo caos interiore: è meglio per lui non avere pensieri, rendere le cose più facili e positive, riempiendosi di droga per sostituire un’assenza o farsi ammazzare perché non ne può più di una vita così? 

La risposta è questo film dall’intreccio potenzialmente interessante, ma sconsigliabile da vedere perché, grazie alla teatralità di certe figure iconiche, insegna allo spettatore l’affascinante, drammatico mistero di una vita priva di responsabilità, senza porre limiti, in più, lo fa contraddicendosi: una volta che Pericle vi cade dentro, infatti, per difendersi non gli resta che prendersi gioco del male stesso… a fin di bene.