Nella comunità di Villa Biondi, un centro terapeutico di riabilitazione per donne con disturbi mentali, è presente da tempo Beatrice Morandini Valdirana, sedicente contessa dal passato glorioso. La sua esuberanza e vivacità la rende un’ospite difficile da trattare e da contenere, nonostante l’impegno affettuoso degli operatori sociali. Quando arriverà in comunità Donatella Morelli, una giovane donna depressa, provata da una vita difficile, Beatrice troverà una nuova sponda su cui riversare le sue attenzioni. Le due donne scopriranno, nell’amicizia e nella fuga disperata nel mondo reale, un angolo di impossibile serenità.



Dopo Il capitale umano, Virzì torna alla commedia, presentando al Festival di Cannes La pazza gioia, un’opera straordinaria e personale. Come più volte dimostrato, fin dal suo esordio, Virzì ama mescolare la commedia ai contenuti, trasportando lo spettatore in profondità, nonostante la sua capacità di divertire. E La pazza gioia è forse, in tal senso, il suo film più riuscito. 



Attraverso l’euforia bipolare di Beatrice, Virzì ci consegna una serie infinita di battute tragicomiche, rivelatorie di un vissuto amaro e disperato. Fin dalla prima scena del film l’eccentrica Beatrice domina la scena, protagonista assoluta dei dialoghi, forza scomoda e dominante nelle difficili relazioni con pazienti e infermieri. Una personalità incontenibile, espressa con grande forza da Valeria Bruni Tedeschi. Beatrice combatte per essere quello che non è, o che non è più, o che non è mai stata. Reinventa il passato sognando un po’ di felicità. Fugge le regole, improvvisa, riempie la scena, in un continuo andirivieni nei territori della follia. Dice il falso, citando frasi della gente comune che sembrano battute e dice il vero, liberandosi dai freni del conformismo, senza trattenere pudore e rassegnazione.



Con intelligenza e strategica lucidità Beatrice affronta l’imprevisto, scegliendo di vivere a suo modo la giornata e coinvolgendo, in questo gioco senza regole, Donatella, interpretata da una altrettanto espressiva Micaela Ramazzotti, interprete del lato oscuro della pazzia. Provata dalla vita, abbandonata dagli uomini, privata del figlio, affogata nella disperazione che emerge dalle sbavature del suo volto rigato di lacrime e dai tatuaggi del suo corpo, Donatella trova in Beatrice il suo opposto, scoprendo la gioia di un’improbabile amicizia riparatrice. Forse la vita non cambierà mai, ma per entrambe sarà bello assaporare una breve parentesi di libertà, felicità e spensieratezza, a bordo di una spider. 

Tutto attorno a loro, in questo viaggio sospeso nel tempo, ruota la vita vera, inzuppata di disagio e confusione, farcita di personaggi squallidi, modelli di consumo collettivo. Mariti avidi, amori violenti, madri inadeguate. A salvare il quadro decadente, si erge fiero il non profit, rappresentato da una schiera di volenterosi infermieri e assistenti, pronti a raccogliere in un abbraccio compassionevole le fragilità, le follie e le paure dei grotteschi e meravigliosi ospiti. Un ritratto positivo, una scommessa di normalità in una ricovero per matti. 

La pazza gioia fa tenerezza e orrore. Lascia il segno del vero, racconta l’esclusione, ride, piange e fa riflettere con poetica leggerezza. Da vedere.