Il rispettoso e candido silenzio della memoria si contrappone lentamente all’orizzonte del mare limpido, mentre le due sorelle Lucia (Elvira Camarrone) e Fiammetta (Sofia Langlet), figlie di Borsellino, sorridenti e ingenue, tornano dalla spiaggia giocando alla corda. Improvvisamente, il 13 agosto 1985, la minaccia intercettata dai Carabinieri dell’Ucciardone diventa spaventosamente reale: un attentato contro i giudici Giovanni Falcone (Massimo Popolizio) e Paolo Borsellino (Giuseppe Fiorello) e i loro familiari partito dai vertici di Cosa Nostra. 



Così, all’inizio del film intitolato Era d’estate (regia di Fiorella Infascelli) non c’è neanche il tempo di fare i bagagli, mentre i poliziotti irrompono senza preavviso nella serena quotidianità familiare. In mezzo a un clima teso e rovente, non lontano da quello tipico di un rapimento, risuona in sottofondo il pianoforte, mentre, nel giro di poche ore, i due magistrati per prudenza vengono trasferiti all’isola dell’Asinara, nei pressi di un carcere di massima sicurezza. 



Completamente isolati dalla comunità, Falcone e Borsellino vivono sotto stretta sorveglianza, mentre attendono con trepidazione le carte del processo più grande al mondo da loro intentato contro la mafia. Passando dagli sguardi velatamente tristi dei due protagonisti ai campi lunghi del magnifico paesaggio; dal dettaglio dell’acqua cristallina del mare che sfiora delicatamente l’inquadratura, alla pioggia che si abbatte violentemente su di essa, si dipana il racconto della “vacanza coatta” dei due giudici, secondo una prospettiva più intima, dove la tensione si trasforma in un’acuta riflessione sull’esistenza e l’ironia diventa fonte di speranza. 



In questa convivenza forzata, Falcone e Borsellino vanno inaspettatamente più a fondo ognuno nella scoperta dell’altro, attraverso il rapporto con le rispettive consorti Francesca Morvillo (Valeria Solarino) e Agnese Borsellino (Claudia Potenza) e i figli in una rete di affetti che unisce l’arcaica, misteriosa isola dell’Asinara, simbolo di un presagio futuro, e l’emozionante semplicità quotidiana. Entrambi i due magistrati si affacciano contemporaneamente sul davanzale delle rispettive finestre per contemplare il mare in soggettiva e una nuova armonia sembra nascere tra di loro. In mezzo alla sofferenza anche fisica di Lucia e allo smarrimento di Manfredi, altro figlio di Borsellino (Giovanni D’Aleo), sull’isola, dunque, un giudice di destra, l’altro di sinistra; uno longilineo e tranquillo, l’altro robusto e nervoso; uno che «conosce a memoria Shakespeare e Dante», l’altro che «preferisce le anatre specialmente a testa in giù», battono a macchina senza sosta i nomi di settecento imputati di cui trecento arrestati, combattendo contro la paura di finire “sepolti vivi”. 

Il dinamico confronto tra queste due personalità opposte che culmina con il barista del luogo che domanda a Falcone: «Lei è il giudice Borsellino?» E il magistrato che risponde con bonaria cortesia: «Non completamente», forgiano un film lineare, ma affascinante da vedere, dove ironia, affetto e passione etica si fondono per impedire l’affossamento del maxiprocesso di Palermo contro una mafia che esiste e non può più solo essere un vago “sentito dire”: il suo ruolo consiste nel distogliere i due uomini da tutto ciò che ha un significato importante e positivo per la loro vita, indirizzandoli verso un tragico destino e generando un grande vuoto.