Almodovar torna al cinema (presentando la sua ultima opera al Festival di Cannes) per raccontare il suo tema più caro: la donna, la sua femminilità, il suo ruolo nella veste di moglie e, soprattutto, di madre. Cambia qualcosa, però, nello stile del regista spagnolo. La scrittura di Julieta è del tutto narrativa, simbolicamente meno sovraesposta di molte opere trascorse. Certamente restano le forti caratterizzazioni, riscontrabili soprattutto nell’uso dei colori e di qualche simbolo, ma è evidente che la parola predomina su di una decisa messa in scena.
Questo non rende il film di Almodovar meno interessante dei suoi precedenti. Il regista ci chiede solo uno sforzo in più nell’accogliere e interpretare i molteplici significati che arricchiscono la storia di questa bellissima, quanto sfortunata e malinconica, donna di nome Julieta.
Julieta è una splendida cinquantenne che vive a Madrid insieme al suo compagno Lorenzo, con cui sta per trasferirsi in Portogallo. L’incontro inaspettato con Beatriz, una cara amica della figlia, stravolge i suoi piani. Decide di restare a Madrid, dove torna ad abitare nella via in cui anni addietro aveva vissuto proprio con la sua bambina Antìa. Questo nuovo e fragile inizio conduce Julieta a scrivere su un quaderno la lunga ed emozionante storia del suo incontro con Xoan, il padre della ragazza, con la speranza di poter, un giorno, regalare queste parole proprio alla sua bambina, ormai donna, che Julieta non vede da dodici anni.
La cornice narrativa e poi l’utilizzo del quaderno bianco come espediente narrativo sono una precisa indicazione di quanto le parole – intese come strumento di racconto – siano importanti in questo film, protagoniste della storia alla stessa stregua di Julieta. È proprio lei, com’è ovvio dal titolo del film, il fulcro semantico della narrazione. Julieta, infatti, racchiude e declina tutti i temi che Almodovar vuole esprimere nella sua opera.
Innanzitutto Julieta è donna e femminilità magnetica. Semplice e nello stesso tempo fortemente caratterizzata, è di una bellezza marcata che travolge l’altrettanto virile Xoan. Tra i due si consuma un amore passionale da cui nasce la piccola Antìa. La protagonista, dunque – ancora una volta nei film di Almodovar -, è moglie e soprattutto madre. E se nella prima parte del racconto sembra felice, gioiosa e appagata, nella seconda parte mostra tutta la fragilità che la caratterizza da subito, ma che emerge drammaticamente solo quando la vita la mette di fronte a tutta la sua tragicità.
L’alone di assenza che il suo sguardo tradisce quando ancora è giovane e gioiosamente innamorata regala al suo personaggio un fascino etereo e molto femminile nello stesso tempo. Quando, poi, il dolore diventa troppo grande, la sua natura passiva la divora e la trasforma in una madre completamente fragile e malata. Al punto che i ruoli tra lei e Antìa si ribaltano nel contesto di un amore filiale totale e gratuito.
Il tema dell’assenza si sviluppa di pari passo con quello dell’abbandono nel personaggio di Julieta. Sembra, infatti, che a ogni sua assenza, fisica e quindi agita e voluta, o mentale, dunque passiva, sia corrisposto un “andar via” di qualcuno. E, come anello conclusivo di questa catena nella costruzione del personaggio di Julieta, Almodovar pone il senso di colpa. Così schiacciante, da alienarla per anni e determinare nella messa in scena un cambio di attrici. Un mezzo, questo, non solo per sottolineare il passare del tempo – spensieratezza che si trasforma in età adulta -, ma soprattutto per evidenziare la “morte” della sua gioventù e la necessarietà dell’abbracciare una nuova vita.
C’è, infine, un altro tema molto forte e provocatorio che il regista inserisce nella storia e relativo al rapporto tra un uomo e una donna nel contesto di una coppia. La posizione di Almodovar è netta. L’uomo, il maschio, ha bisogno di una figura femminile di riferimento. Quando questa non può essere presente, l’uomo si appoggia naturalmente – ovvero secondo natura – laddove trova conforto e amore.
O, meglio, la ricerca di amore è il motore che conduce uomini e donne – si veda l’esempio di Antìa, a cercare l’affetto, la vicinanza, la pienezza che possano riempire il proprio vuoto. Ma, e in questo sta la bellezza dell’essere madre di Julieta, pur subendo per tutto il film il tema dell’abbandono, lei è l’unica a restare, a non abbandonare il suo ruolo, a mettere a disposizione tutto il suo amore anche a chi ha deciso di allontanarsi da lei.
Il finale del film è un’occasione mancata. Dopo una così lenta costruzione del personaggio, Almodovar conclude con una rapidità inspiegabile e che svilisce gran parte del racconto precedente.