A un anno dalla loro scomparsa (e a tre anni dal primo film), dopo aver conquistato il pubblico e ingannato l’FBI, i quattro Cavalieri dell’illusionismo tornano in scena con Now you see me 2, arruolando per l’occasione anche Lula (Lizzy Caplan), unica presenza femminile del cast. Il loro nuovo obiettivo, al servizio dei cittadini del mondo, è quello di svelare gli inganni del corrotto magnate della tecnologia Owen Case (Ben Lamb). Ma qualcosa andrà storto e i quattro, al fianco dell’agente speciale Dylan Rhodes (Mark Ruffalo), dovranno rimettersi in gioco per recuperare la loro libertà e reputazione.
Il primo capitolo aveva colpito per il ritmo frizzante, un cast fresco e l’idea stimolante e in qualche modo rivendicativa della “favola” di Robin Hood. I Cavalieri, maestri del furto e dell’illusione, rubavano ai ricchi per donare ai poveri, solleticando i mal di pancia dei cittadini del mondo contro i potenti della finanza. In questo secondo capitolo torna il buonismo, con i Cavalieri impegnati a difendere la privacy, altro tema sensibile per l’uomo di oggi.
Nelle mani di Jon Chu, regista noto per la serie Step Up, il docufilm su Justin Bieber e il fracassone G.I. Joe, Now You See Mee si trasforma in una collezione di “must have”, traboccante di cultura pop contemporanea. Un intrigo articolato, complottista e internazionale per soddisfare il bisogno d’azione del pubblico; il racconto di un passato difficile da dimenticare, nei panni di un bambino lacrimevole, per creare empatia con i protagonisti in cerca di riscatto, così da soddisfare il bisogno di rassicurazione e riscatto; l’accenno sentimentale condito di bacio per non dimenticare gli aspetti torbidi e passionali di ogni vicenda che si rispetti, così da soddisfare il bisogno di voyeurismo e alimentare il brusio in sala; infine, una strizzata d’occhio alla tradizione, per il pubblico meno giovane, con la Cina dei padri prestigiatori, e poi musica, effetti speciali, l’FBI, due etti di battute e un paio di chili di colpi di scena.
Un film baraccone e contorto che, persa l’originalità del primo capitolo, si inserisce garbatamente nel filone dell’ovvio, scomodando un cast straordinario in affitto temporaneo al dio denaro. Con David Copperfield tra i produttori, l’illusione si trasforma in un meccanismo perverso che, dovendo fare a meno della diretta, sconfina nell’assurdo e improbabile, da cui se ne esce rivelando sistematicamente tutti i trucchi del mestiere. Mentre la magia diventa l’escamotage per svolgere l’intricata sceneggiatura, non si può che perdere, scena dopo scena, quel poco di stupore del “ragazzino che c’è in noi”, che l’opera prima aveva prudentemente solleticato. E se qualcosa suona strano, non preoccuparti: ci sarà l’ipnosi sonnolenta a riportare tutto a posto.
Che sarebbe arrivato un secondo capitolo ce lo aspettavamo tutti. Ora possiamo solo sperare che non ne arrivi un terzo.