Che James Wan sia un regista di talento se ne sono accorti tutti, addirittura fin dal suo esordio nel 2004 con il primo capitolo della saga di Saw – L’enigmista. Pur avendo diretto l’ultimo Fast & Furious ed essendo al lavoro su un cinefumetto dedicato ad Aquaman, Wan era e rimane un regista di horror, e il suo nome è legato, oltre al già citato enigmista, agli ottimi Insidious e The Conjuring -L’evocazione.
The Conjuring – Il caso Enfield è un sequel del film del 2013, e si basa ancora una volta su un caso affrontato dai coniugi Ed e Lorraine Warren, ricercatori del paranormale. Il “caso” in questione, denominato “poltergeist di Enfield”, sarebbe accaduto realmente in una cittadina a nord di Londra verso la fine degli anni ’70, e il film – tendenza fortunatissima nell’horror degli ultimi anni, e di Wan in particolare – si fregia dell’etichetta di “storia vera” per aumentare la suggestione.
Storia vera o meno, in una casa popolare vive una madre divorziata, Peggy Hodgson (Frances O’Connor), insieme ai suoi quattro figli: Johnny, Billy, Margaret e Janet. Quest’ultima inizia a essere vittima di fenomeni soprannaturali (possessione, levitazione, alterazione della voce, ecc.), finché il caso non raggiunge una diffusione mediatica. Dall’altra parte dell’Atlantico, intanto, i Warren devono decidere se accettare il caso dopo che un’inquietante premonizione minaccia di interrompere per sempre la loro carriera.
Per questo sequel Wan pare aver avuto un budget raddoppiato rispetto al primo film, e si vede: non solo tornano i soliti, sontuosi movimenti di macchina, usati qui per presentare la casa in ogni suo angolo e come meccanismo per generare suspense, ma il regista non si fa mancare neanche una buona dose di effetti speciali, soprattutto nel finale. Quello che manca, semmai, è un qualche elemento di vera originalità, o piuttosto di varietà.
Wan sfrutta sapientemente i meccanismi dell’horror – siano essi i silenzi improvvisi, le porte scricchiolanti, i volti che compaiono all’improvviso -, ma dopo la prima metà del film ci si rende conto che le situazioni iniziano a ripetersi pericolosamente: si sa già che nello specchio apparirà un volto, ad esempio, mettendo lo spettatore nella sgradevole posizione di sapere già che, di lì a breve, dovrà saltare sulla sedia. Questo accade anche per il finale, di una prevedibilità richiesta sì dalla presunta “realtà” dei fatti narrati, ma cionondimeno fastidiosa.
Nonostante i difetti, va detto che Il caso Enfield ha dalla sua un’Inghilterra di fine anni ’70 ricostruita con maestria, trasposta su schermo con una buona fedeltà storica (il parlato sgrammaticato della signora Hodgson, evidentemente poco scolarizzata, è un tocco di classe non da tutti), senza però tralasciare una buona dose di fiction. L’atmosfera che si respira è ottima: cupa, a tratti opprimente, decisamente azzeccata per un piccolo isolato della provincia londinese.
Un film godibile, insomma, ma c’è da chiedersi se il voler rendere The Conjuring una saga vera e propria – ricordiamo che Annabelle, uscito lo scorso anno, ne è a tutti gli effetti uno spin-off, e un altro è appena stato annunciato – non rischi di allungare il brodo più del dovuto.