Isabelle Reed (Isabelle Huppert), fotografa di guerra, perde la vita in un incidente stradale e la sua scomparsa lascia ferite profonde nella famiglia. L’organizzazione di una mostra a lei dedicata diventa l’occasione per riunire padre e figli, oltre che per fare emergere una scomoda verità e mettere così in discussione il ricordo di Isabelle.
Nel film Segreti di famiglia del norvegese Joachim Trier il rapporto tra presente e passato, tra finzione e realtà si sviluppa nelle figure dei tre uomini che, ognuno a suo modo, cercano di elaborare il lutto e andare avanti. Il figlio maggiore, Jonah (Jesse Eisenberg), giovanissimo ma già sposato e con un bambino appena nato, ha problemi a riconoscersi nel ruolo di padre e scappa dalla sua vita e dai suoi impegni, rifugiandosi (fisicamente e metaforicamente) nella stanza d’infanzia. Suo fratello Conrad (Devin Druid), un teenager dall’espressione imbronciata, non comunica con nessuno, trascorre le ore al computer immerso nei giochi di ruolo e si isola dal mondo indossando un paio di cuffie. È infatuato di una compagna di classe, alla quale però non sa come avvicinarsi perché lei fa parte del gruppo delle “vincenti”. La sua frustrazione, la ribellione adolescenziale e il dolore per la morte della madre si sfogano contro il padre, Gene (Gabriel Byrne), che commette l’errore di pedinarlo per provare a entrare nel suo mondo.
I complicati rapporti tra i tre uomini sono al centro della storia, in cui il presente si alterna ai ricordi. Ognuno conserva un’immagine diversa di Isabelle, concentrandosi sui dettagli che, a distanza di tempo, possono assumere un significato diverso. Mentre Jonah guarda le fotografie rimaste nella Pen Drive della madre e Gene parla con il collega di Isabelle, scopriamo che la donna era depressa, aveva un amante ed era rimasta vittima di quel senso di disorientamento, di non appartenenza che può colpire che viaggia in continuazione, lasciando la famiglia a casa. Quando si è via, si desidera tornare; una volta tornati, si ha la sensazione che i familiari abbiano costruito una loro routine da cui si è esclusi.
Il film procede con lentezza, a volte eccessiva, esasperata dalle lunghe inquadrature che interrogano i volti dei personaggi, soprattutto di Isabelle. La vita dei tre uomini si svolge tra il liceo e la casa, in una sorta di claustrofobico cerchio che diventa specchio dei “blocchi” presenti nelle loro vite.
Tutti i rapporti di coppia sono fallimentari, forse perché nessuno vuole farsi conoscere veramente dagli altri. Non a caso, alla fine, l’unico ad avere il coraggio di dire la verità è Conrad, che rifiutando il consiglio del fratello consegna una sorta di diario personale alla ragazza di cui è infatuato, trovando così il modo di comunicare con lei. È consapevole che le cose tra loro non cambieranno, che lei continuerà a ignorarlo in classe, ma finalmente ha smesso di nascondersi dietro le maschere dei combattenti virtuali del suo gioco ed è stato sincero.
La depressione diventa il leitmotiv del film, che è caratterizzato da tinte grigie e lunghi silenzi. Peccato che la presenza di alcuni cliché, come l’amante di Isabelle e il ritorno dell’ex di Jonah, rendano la narrazione meno interessante di quanto avrebbe potuto essere, depotenziando la storia. Più efficace è invece il tentativo di frammentare il racconto, di rompere la linearità per mostrare la dissociazione sperimentata dai personaggi mentre cercano di mettere insieme i tasselli, di comprendere il passato e, soprattutto, di conoscere se stessi e gli altri.