Un tempo esisteva la commedia romantica, con l’idea dell’anima gemella declinata in modi diversi ma sostenuta dalla fiducia che l’amore per sempre esiste e ti cambia la vita. Oggi, quell’ideale romantico ha lasciato il posto a una visione più disincantata della vita e del rapporto di coppia, e le storie sono cambiate di conseguenza.
Così può succedere che la protagonista de Il piano di Maggie, il nuovo film di Rebecca Miller, decida di fare un figlio da sola, stanca di attendere un principe azzurro che non arriva. Maggie Hardin (Greta Gerwig) è carina, colta, sensibile, insegna alla New School di New York City e abita nell’appartamento di un poeta. Nella sua vita manca una famiglia e Maggie decide di costruirsela da sola, mettendo al mondo un bambino senza aspettare di incontrare l’uomo giusto. Come recita il titolo del romanzo da cui è tratto il film, “A cosa servono gli uomini” di Karen Rinaldi, Maggie è convinta che non sia necessario creare un nucleo familiare convenzionale per crescere un figlio ed essere felici.
Almeno finché non conosce John Harding (Ethan Hawke), professore-antropologo che vive all’ombra della talentuosa (e gelida) moglie Georgette (Julianne Moore). Galeotto è il romanzo che John sta tentando di scrivere e che rispecchia la sua vita di marito frustrato, un’opera perennemente in progress. Maggie diventa la sua musa, la sua fonte di ispirazione e la lettrice con cui confrontarsi, e John se ne innamora. Ricambiato.
Due anni dopo, Maggie e John sono sposati, hanno una bambina deliziosa, ma l’idillio è finito. John si dedica solo al romanzo, mentre Maggie si occupa di tutto il resto – casa, soldi, bimba e figli di Georgette, sempre in giro per convegni. Stanca e trascurata, Maggie elabora un nuovo piano mirato a riportare John dalla sua ex moglie, a cui ancora è legato. Ma le cose sono più complicate del previsto e Maggie si ritrova a occuparsi di una grande famiglia allargata.
La Miller dirige un film che punta chiaramente a intrattenere, creando un’atmosfera lieve e giocando con le battute argute dei protagonisti. Gli uomini non fanno una bella figura nella storia: John è un intellettuale egocentrico, che forse non conosce davvero se stesso e finisce per confondere il bisogno con l’amore. Guy, una vecchia conoscenza di Maggie che, prima dell’entrata in scena di John, era stato scelto come donatore, è più simile a un adolescente goffo e irresponsabile che a un adulto fatto e finito. Neppure le donne sono esenti da difetti. Maggie è tenera, generosa e sensibile, con il suo stile antiquato e la sua ingenuità, ma crede di poter pianificare la propria vita e quella degli altri senza chiedere il permesso. E Georgette, fredda e altera ma involontariamente comica, incarna la classica donna in carriera, brillante, dominatrice, frenetica. Eppure, a modo suo, anche Georgette è attaccata all’idea di famiglia, perché la verità è che l’amore – così come la vita – non si può programmare.
Non bisogna aspettarsi dal film una riflessione sul fallimento dei matrimoni o sul rapporto tra marito e moglie, e nemmeno sulla scelta di crescere un figlio da sole. Piuttosto, Il piano di Maggie è un ritratto ironico e inevitabilmente romanzato di una società priva di certezze, che insegue il successo ma teme di non farcela, disillusa nei confronti dell’amore ma bisognosa d’affetto e di condivisione. La presenza di intellettuali nevrotici e ambiziosi, in un certo senso scollati dalla realtà, ricorda vagamente Woody Allen, mentre la New York che fa da sfondo alle vicende è sempre quella, affascinante e desiderabile, delle classiche commedie romantiche.
Nonostante la sceneggiatura brillante e la bravura degli interpreti rimane però un retrogusto amaro, provocato dalla consapevolezza che i personaggi non cambiano. Ottengono ciò che vogliono, sì, ma non ciò di cui hanno bisogno per crescere e per evolvere davvero.