1981. La rassegna estiva di quest’anno parte da un presupposto curioso quanto ambizioso: fornire una panoramica quanto più possibile varia – secondo i gusti del sottoscritto, almeno – dei film usciti all’inizio degli anni ’80, ovvero di un decennio che, oltre a generare una sfilza di cult (Ritorno al futuro, ad esempio), ha impresso una svolta decisiva al cinema di genere, dopo la fase “classica” degli anni ’70. Il primo film di cui mi occuperò è l’opera prima di Sam Raimi, La Casa. Un inizio in grande stile, che spiazza lo spettatore con un dinamismo mai visto prima in un horror. È sua la palma di primo “cult” di questa rassegna, tanto da essere oggetto di remake, spin-off e amorevoli omaggi da parte di registi amanti del brivido. 



 

21 anni. È questa l’età in cui Samuel Marshall Raimi (Sam Raimi per i più) esordisce nel 1981 con l’horror La Casa, destinato a diventare un cult negli anni a venire. A dire il vero, all’epoca dell’uscita il film andò incontro a diverse critiche e incassò relativamente poco; grazie al budget praticamente nullo di cui Raimi si era servito, però, il film poté comunque essere considerato un successo, e guadagnarsi così un posto di primo piano nella storia del cinema horror. 



La trama de La Casa si concentra su cinque ragazzi: Ash (Bruce Campbell, diventato poi icona del genere grazie ai sequel La Casa 2 e soprattutto L’armata delle tenebre), Scott, Cheryl, Linda e Shelly. Il loro intento è passare un weekend tra amici in uno chalet di montagna, lontani da tutto e da tutti. Una volta arrivati, però, i ragazzi scoprono in cantina un libro dai tratti inquietanti (chiaro riferimento al Necronomicon lovecraftiano) e un nastro magnetico, sul quale una voce registrata – quella di un archeologo e studioso dell’occulto – pronuncia formule atte a risvegliare il demone presente nel libro. È a questo punto che si scatena il delirio. I ragazzi vengono raggirati e aggrediti uno dopo l’altro, e i loro corpi vengono posseduti dalla presenza demoniaca. La casa diventa così un’entità viva e da cui ogni tentativo di fuga si rivela vano. 



La particolarità de La casa non è di certo la trama, piuttosto blanda e ridotta all’osso, quanto l’aver saputo creare un mix di genuino terrore e parodia grottesca che caratterizzerà Raimi per tutta la sua carriera, a partire dai sequel che premono l’acceleratore sulla vena ironico-splatter del film. Di tutti i registi che hanno provato a trasporre le opere di H.P. Lovecraft sul grande schermo, spesso fallendo clamorosamente, Raimi è forse quello che più ha accantonato la dimensione “irrappresentabile” e “indicibile” del male lovecraftiano, per definizione intraducibile in immagini, sino a far diventare i suoi demoni dei sadici burloni, delle entità in plastilina, cartone e sangue finto. 

Una delle scene più iconiche del film è sicuramente quella in cui Cheryl, avventuratasi all’esterno della casa, viene aggredita e violentata da degli alberi demoniaci, in una versione distorta e horror della foresta di Biancaneve. Questa scena, sulla carta potentemente drammatica, è in Raimi un’occasione per sfoggiare il proprio ingegno da “artigiano” del cinema: al posto di costosissimi effetti speciali, Raimi muove i rami a mano, con un gusto per l’arrangiarsi che si andrà un po’ a perdere nelle pellicole successive, girate con budget mediamente maggiori. L’effetto è volontariamente straniante, come un prestigiatore che non nasconde i propri trucchi, ma, anzi, li amplifica orgogliosamente. 

Rispetto al sequel è sicuramente un film grezzo, visivamente datato in alcune scelte, ma ha in sé tutta la grinta di un regista giovane alla sua opera prima, disposto a “sporcarsi le mani” pur di sperimentare trovate sceniche, movimenti di macchina, strategie narrative.