La voce del popolo come lo definivano in molti, un regista d’inchiesta che diede un volto a quell’Italia sempre più nascosta, ma più vera. Questo era per tutti Pier Paolo Pasolini, regista di chiara fama, poeta dai versi turbati, drammaturgo e giornalista. A 41 anni dal suo omicidio, sono diverse le ipotesi che si sono vagliate, sono state scartate, riprese e poi rifiutate ancora. Rappresenta a tutti gli effetti uno dei più grandi misteri italiani su cui i cittadini attendono ancora delle risposte. Del caso se ne occuperà stasera Chi l’ha visto in una puntata speciale con cui Dean Buletti e Giuseppe Rinaldi spiegheranno gli sviluppi avvenuti un anno fa. Per molto tempo e per tutti infatti a mettere fine alla vita di Pier Paolo Pasolini fu Giuseppe ‘Pino’ Pelosi, un diciassettenne di Guidonia che faceva la vita, già conosciuto alle forze dell’ordine e che in quella notte del 2 novembre del 1975 uccise il regista in modo brutale. Sono molte le voci che si sollevano nell’immediato, la scrittrice Oriana Fallaci per prima, e che parlano invece della presenza di almeno altre due persone. Questo particolare viene confermato in un secondo momento da un’altra testimonianza, poi ritrattata e considerata fallace. Le inchieste aperte vagliano più piste, soprattutto concentrandosi sul film Salò che Pier Paolo Pasolini stava pr girare e sull’indagine che stava seguendo sulla lotta fra Eni e Montedison, soprattutto della figura di Eugenio Cefis e sul suo presunto coinvolgimento in trame a livello internazionale. Dopo 40 anni, la svolta sembra provenire da tracce ritrovate sugli abiti di Pasolini che rilevano la presenza di altre due persone al momento del delitto, prova inspiegabilmente rifiutata in fase processuale. La deputata Serena Pellegrino del Friuli non ci sta e come fece a suo tempo, anche se invano, il segretario Enrico Belinguer del PCI, fa partire una raccolta firme che porta alla creazione di una Commissione monocamerale che indaghi ulteriormente sull’omicidio di Pasolini. La legge dovrebbe infatti venire approvata in questi mesi dal Parlamento, dopo di che la strada dovrebbe trovare solo cancelli aperti.



Secondo le ricostruzioni del ’75, Pino Pelosi era stato avvicinato da Pier Paolo Pasolini per un’avventura sessuale da consumare a bordo della vettura dell’artista, poi finita in richieste a cui il ragazzo non intendeva sottostare. Dopo averlo colpito ripetutamente, Pelosi travolge Pasolini con la sua stessa auto più e più volte, fino a rompergli la cassa toracica ed ucciderlo. Il giovane viene fermato dalla Polizia alcune ore dopo, sempre alla guida dell’auto di Pier Paolo Pasolini. Eppure alcuni particolari non quadravano già allora, come per esempio il fatto che i vestiti di Pelosi non presentavano alcuna traccia di sangue del registra, come invece sarebbe dovuto avvenire durante la lite furiosa. Viene comunque condannato in primo grado e lì rimane come sospeso – e con lui anche la verità su quanto è successo – per 30 anni. Pino Pelosi ritratta poi a sua volta, riferendo che quella sera aveva visto due persone, a bordo di una vettura targata Catania, avvicinarsi a Pasolini ed aggredirlo per via della sua omosessualità. Un dato che viene confermato già quella notte stessa da alcuni testimoni che riportano una targa parziale del veicolo e riferiscono un inseguimento fra il loro mezzo e quello del regista. Eppure, questo particolare che avrebbe potuto portare alla svolta, non viene tenuto in considerazione e viene anzi eliminata ogni sua traccia con la condanna data a Pelosi. Perché? 

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