Come si fa a rilanciare Tarzan, figura leggendaria e “congelata” nella sua dimensione mitica? 

Alla storia classica del giovane uomo cresciuto tra le scimmie ha messo mano David Yates, il regista degli ultimi capitoli della saga di Harry Potter, provando a ribaltare la prospettiva e a raccontare un eroe adulto che cerca di lasciarsi alle spalle il passato. Così, in The Legend of Tarzan troviamo Tarzan, alias John Clayton III (Alexander Skarsgård), in Inghilterra, sposato con Jane (Margot Robbie), ma ancora in conflitto con se stesso: il suo passato tra i gorilla, mostrato in brevi flashback, condiziona il suo presente, impedendogli di essere un lord inglese tout court. 



Quando il Primo Ministro gli chiede di tornare in Congo per conto del Parlamento, John/Tarzan esita. Jane sembra felice di tornare nella terra che ha imparato ad amare, mentre lui non sente più di appartenere alla giungla e vorrebbe rifiutare. Interviene allora George Washington Williams (Samuel L. Jackson), un personaggio storico, prima vera mossa rischiosa del film, perché la dimensione fiabesca prova a inserirsi in un contesto reale. Vinta la classica riluttanza dell’eroe, Tarzan accetta e raggiunge il Congo, dove i colonizzatori sfruttano le miniere di diamanti e schiavizzano la popolazione, e si ritrova a lottare per salvare la sua famiglia e il Paese stesso. 



Partendo dal personaggio di E.R. Burroughs, Yates ha scelto di divulgare attraverso Tarzan un messaggio contro lo sfruttamento e a favore del rispetto dei diritti umani e dell’ambiente. L’intenzione è nobile e il film intrattiene quanto basta, combinando azione, avventura, fascino della natura, cattiveria umana e momenti romantici, anche se la resa scenica non è perfetta e la differenza tra realtà e CGI si vede. 

Jane protesta di non voler essere la classica fanciulla da salvare, ma, in effetti, è proprio quello il suo ruolo, mentre gli animali della giungla (ricreati al computer) diventano le forze del bene che aiutano l’eroe a fare giustizia. Tarzan ha una sua profondità psicologica, ma anche, naturalmente, le caratteristiche che lo avvicinano ai supereroi: velocità e destrezza nel muoversi tra gli alberi, una forza incredibile e una particolare connessione con gli animali. 



Il cattivo, che ha il volto di Christoph Waltz, è il braccio destro di Leopoldo II del Belgio, contro cui si schierano Tarzan e i suoi alleati, compreso il “fratello” gorilla che lo perdona per avere abbandonato il loro mondo. E alla fine la natura vince, o meglio, dimostra agli uomini che esiste un altro modo di vivere, senza conformarsi ai modelli, abbracciando l’uguaglianza invece delle divisioni.

Come spesso accade in questo genere di film, il finale è troppo semplicistico e non riesce ad andare oltre l’entertainment: anche se siamo tutti contenti che Tarzan trionfi e viva felice con la sua bella moglie, la sensazione di assistere a una storia dagli sviluppi (molto) prevedibili spegne l’entusiasmo, lasciandoci in compagnia di una storia avventurosa, piacevole, ma non certo memorabile.