Il quinto appuntamento della rassegna estiva è dedicato al canadese David Cronenberg, e a un film che ha ispirato una lunga serie di sequel apocrifi. Scanners affronta la tematica dei “superpoteri” in un’ottica inusuale per i giorni nostri, seriosamente drammatica, rientrando a pieno titolo sotto l’etichetta di “body horror” coltivata da Cronenberg.
Prima di X-Men c’era Scanners. Quando non era ancora scoppiata la mania per i supereroi, in tempi non sospetti, il regista canadese David Cronenberg dirige un film che anticipa molte ossessioni del cinema contemporaneo, e destinato a generare una lunga lista di sequel, seppur apocrifi.
Nella società pseudo-fantascientifica rappresentata nel film il mondo è popolato da un’esigua ma potente schiera di scanners, ovvero esseri umani dotati di poteri telepatici (comunemente definiti “poteri ESP”). Cameron Vale (Steven Lack) è uno di loro, come scoprirà dopo essere stato portato a forza al cospetto del dottor Routh (Patrick McGoohan); questi lo convincerà a rintracciare ed eliminare il pericoloso scanner Revok (Michael Ironside), colpevole di aver radunato sotto il proprio controllo un gruppo di telepatici ribelli. Come nel più classico dei film del genere, quindi, Cameron dovrà affinare sempre più i propri poteri per arrivare, infine, allo scontro con il villain.
Chi conosce Cronenberg sa che, a differenza di film come X-Men, Cameron non può essere mosso da semplice altruismo e voglia di riparare i torti della società. No, la sua motivazione è molto più terra terra, visto che il dottor Routh gli ha promesso, in cambio dell’eliminazione di Revok, una fornitura a vita di Ephemerol, farmaco capace di annullare momentaneamente i poteri ESP e donare così allo scanner un attimo di tregua.
Già autore di film come Rabid – Sete di sangue e Brood – La covata malefica, il futuro regista di Videodrome David Cronenberg non ha mai nascosto la propria ossessione per il corpo umano, per il suo funzionamento e, soprattutto, la sua inevitabile degenerazione. La malattia è centrale nei suoi film, e, se in altri film precedenti essa si manifesta con grottesche e raccapriccianti alterazioni fisiche (basti pensare al motto stesso di Videodrome: “Gloria e vita alla nuova carne!”), in Scanners la “malattia” è in un primo tempo invisibile, impalpabile, ma le sue conseguenze sono altrettanto disastrose.
In apertura ho definito Scanners come un “proto X-Men”, ma si tratta di una definizione superficiale che non tiene conto della titanica spaccatura che sussiste tra i due. È vero che, strutturalmente, il film di Cronenberg può ricordare uno dei tanti film supereroistici attualmente al cinema (e infatti i sequel ne sfruttano a fondo la serialità), ma il modo in cui i “superpoteri” vengono trattati è qui totalmente anti-spettacolare, privo di quel senso del meraviglioso che caratterizza i supereroi. Essere scanners, per Cronenberg, è una vera e propria tortura; avere costantemente nella testa le voci di centinaia e centinaia di persone, senza poterle spegnere in alcun modo se non temporaneamente grazie all’Ephemerol, è un supplizio che soffoca sul nascere ogni spunto goliardico che il film avrebbe potuto avere.
Pur non essendo tra i film meglio riusciti di Cronenberg, Scanners offre allo spettatore un ibrido tra l’horror e la fantascienza, marchiato dal timbro autoriale di un regista che non perde mai occasione per demonizzare la figura del “medico”, vista come incarnazione contemporanea del Faust goethiano.