Dopo aver presentato due film horror, ecco che ci spostiamo sul terreno del thriller. E chi meglio di Brian De Palma (Scarface, Gli intoccabili) può darcene un assaggio? Con il suo clima da cospirazione politica, un finale straziante e una costruzione visiva magistrale Blow Out apre il decennio degli “eighties”, e lo fa vedendo nel cinema – in quel cinema artigianale fatto di pellicola, tagli e urla pre-registrate – l’unico mezzo di salvezza. 



C’è una festa in corso in quello che sembrerebbe un dormitorio femminile. Una dozzina di ragazze in età da college e spensierate sta sperimentando ogni possibile forma di divertimento nelle proprie stanze sovraffollate, mentre la classica “secchiona” di turno minaccia di fare la spia ai superiori nel caso in cui non la smettano con il baccano. Tutto questo viene osservato dall’esterno, attraverso i vetri, in una soggettiva in piano sequenza di quello che si rivelerà essere un serial killer. Ansima, osserva, si nasconde, pronto ad attaccare. 



I primi minuti di Blow Out snocciolano tutti i cliché dell’horror-slasher tanto in voga alla fine degli anni ’70 (è del 1978 Halloween, capofila del genere, ma l’italianissimo Reazione a catena di Mario Bava risale addirittura al ’71), dal serial killer in soggettiva alle giovani ragazze discinte, destinate a diventare carne da macello e oggetto di voyeurismo. Ma si tratta solo di una beffa, di uno specchio per le allodole. Con la maestria di chi conosce e sa maneggiare i vari generi, Brian De Palma gioca a confondere lo spettatore con un incipit orrorifico che non ha nulla a che fare con il film vero e proprio, che si rivela essere in realtà un serratissimo thriller con protagonista John Travolta. 



La sequenza successiva all’incipit spiega che Jack (Travolta) è un tecnico del suono che lavora per una piccola casa cinematografica di serie B, specializzata (appunto) in film horror a basso budget. Una sera Jack è intento a registrare dei suoni all’aperto per un nuovo film, quando si ritrova, suo malgrado, testimone dell’incidente d’auto in cui perde la vita il governatore in lizza per la Casa Bianca. L’unica sopravvissuta all’incidente è Sally (Nancy Allen), il cui coinvolgimento nella vicenda rischia di sollevare uno scandalo globale. La trama continua poi a infittirsi, mentre cresce gradualmente la consapevolezza, da parte di Jack e dello spettatore, che “l’incidente” sia stato architettato da agenti misteriosi che tramano nell’ombra. E che sono sulle tracce di Sally. 

Benché meno famoso di film come Carrie – Lo sguardo di Satana o Scarface, Blow Out rimane una perla all’interno della pur ottima filmografia di De Palma. Si tratta di un classico thriller a sfondo politico con forti vette drammatiche, ma è impreziosito da una regia impeccabile e dalla genialità di alcune trovate. La stessa idea di rendere il protagonista un tecnico del suono non è un’informazione fine a se stessa, irrilevante ai fini della trama, ma è anzi centrale nello sviluppo della stessa. 

A un livello metanarrativo, che si aggiunge all’intreccio thriller e lo arricchisce, è l’arte del cinema a fornire la soluzione del giallo, in un contorto quanto geniale mix di montaggio sonoro, pellicole “fai da te” ed espedienti da lanterna magica. È in questo modo che De Palma trasforma un soggetto tutto sommato già visto in un gioiello di acume, testimone di un modo di fare cinema “artigianale” ormai in via d’estinzione, ma sempre vivo attraverso lo sguardo amorevole di quei registi – De Palma, ma anche Scorsese, Tarantino, Allen, … – che gli rendono omaggio nelle proprie pellicole. 

A mettere la ciliegina sulla torta, però, ci pensa il finale, che merita un posto d’onore tra i migliori finali della storia non solo del thriller, ma del cinema in generale. È una conclusione amara, ma cinicamente coraggiosa, che chiude il cerchio degli indizi sparsi dall’inizio del film e consegna al pubblico un protagonista profondamente tragico, beffato dalla sorte come nel migliore dei noir.