L’estate è un periodo speciale dell’anno, il momento in cui si è liberi dallo studio, dalle riunioni e dagli oltre mille lacci che ci impediscono di far prendere il volo ai nostri sogni. Proprio durante l’estate si svolge la storia del film che vi invito a vedere: L’uomo senza volto, ambientato nel Maine e girato nel 1993 da Mel Gibson, per la prima volta regista oltre che interprete. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Isabelle Holland e ne è protagonista il giovane Charles Nordsradt, chiamato da tutti semplicemente Chuck. 



Chuck è un ragazzo che vive una situazione oggettivamente drammatica: sua madre ha avuto ben quattro mariti e si appresta al quinto matrimonio. In casa ci sono inoltre le due sorellastre Meg e Gloria che mal sopportano il ragazzo reputandolo un po’ tonto; inoltre, i cosiddetti amici lo vessano in continuazione. Chuck decide di dare una svolta alla sua vita e, per riabilitare simbolicamente la memoria del padre defunto, s’impegna a studiare durante tutta l’estate per affrontare il test di ammissione alla prestigiosa accademia di West Point.



Ben cosciente che non sarà mai in grado di passare l’esame senza l’aiuto di un maestro, Chuck lo trova nel signor Justin Mac Leod, interpretato dallo stesso Mel Gibson, un professore che ormai da sette anni vive isolato nel suo cottage. Mel Gibson è particolarmente convincente in questa interpretazione, anche per il volto sfigurato che caratterizza il suo personaggio: la deturpazione causata da un incidente che lo trasforma in mostro agli occhi degli abitanti del villaggio, lo rende a Chuck enigmatico e attraente.

Fra maestro e allievo nasce così un legame intenso, che si trasforma in sincera amicizia: il giovane impara ad apprezzare lo studio grazie agli originali e spesso divertenti metodi del professore, mentre questi, grazie alla compagnia del ragazzo, supera l’isolamento e la diffidenza verso gli altri.



Senza nulla togliere agli sviluppi sorprendenti della vicenda, desidero accennare a due temi che suggerisco come chiavi di lettura di questo ottimo racconto audiovisivo. Emerge anzitutto che la conoscenza è legata alla dimensione affettiva della persona ed è perciò necessario amare ciò che si studia per poter comprendere e apprendere a fondo. L’altro tema concerne la maturazione: si colgono nel racconto non solo l’ovvia crescita intellettuale del giovane studente, ma soprattutto l’evoluzione umana del maestro. Il film suggerisce infatti l’idea che un’autentica relazione formativa comporta maggiore conoscenza e crescita umana per entrambi i soggetti coinvolti.

Questi temi, tanto rilevanti da riguardare persino i fatti che in questo periodo stanno sconvolgendo il mondo, sono solo due pepite nella ricca miniera di questo film; l’opera prima di questo attore-regista è un invito al pensiero intelligente, lucido e nel contempo appassionato, che evita sia il trionfalismo tipicamente americano sull’uomo che si fa da solo, sia le scene patetiche che vogliono strappar le lacrime.