Proprio in questi giorni, sparsi qua e là per l’Italia, sono in programma tutta una serie di appuntamenti per chi ama la lettura. A Pordenone, per esempio, aprirà domani PordenoneLegge, mentre a Bibione (Venezia) si può partecipare a TuttinBibioteca. Le nostre origini lombarde ci hanno invece spinto a non molti chilometri da casa, in quel di Leggiuno (Varese), famosa per aver dato i natali a Gigi Riva (bomber del Cagliari anni 70 e della Nazionale), ma soprattutto località dove si svolge “Leggi-Uno”, festival letterario di un sol giorno, dove assurgono a maggior gloria fior di scrittori, ma uno alla volta, perciò uno all’anno. Il tema di quest’anno, “Il segna-libro”, ha voluto essere una rassegna dedicata ai libri di sport, in particolare il calcio, e più specificatamente (in onore dell’illustre concittadino, che Gianni Brera aveva ribattezzato Rombo di Tuono) agli attaccanti.
Proprio in questo splendido angolo di Lombardia, adagiato sulle sponde del lago Maggiore, ai piedi delle colline del Verbano, abbiamo scovato le opere, edite da una piccola casa editrice, la Tackle Scivolato, dello scrittore Juan Manuel Chabatta, di origini chilene. Amante dell’Italia, dove spesso si rifugia nel suo buon retiro di Chicerale, nel Chilento, ma con il Chile nel cuore, Juanito (così ama farsi chiamare dai suoi amici più cari) è un omone di più di 100 chili, amante della buona tavola, dei Red Hot Chili Peppers e, naturalmente, dello sport. Schivo ma simpatico, poco avvezzo alle interviste, preferisce che i suoi libri parlino al posto suo.
Un solo piccolo vezzo accompagna questo grande artista: i suoi libri portano il nome di altri grandi romanzi della letteratura mondiale. “Pur non essendo un grande nuotatore, mi piace confondere le acque!”, così ama presentarsi al suo pubblico. La lacustre Leggiuno, il festival “Leggi-Uno” e i leggii (gli abitanti di Leggiuno) hanno calorosamente accolto i quattro titoli presentati. Ve li proponiamo.
“L’ultimo crociato”. Romanzo biografico di formazione, narra la storia di Ménico Scolari, detto Menisco, centravanti del San Todos los Otros, che in finale di carriera, nella partita della vita contro gli eterni rivali del Pédepòrco, si immola nella finale della Copa del Rio del Fio del Zio del Pio, scontrandosi pesantemente con il portiere della squadra avversaria, in lizza con lui per il titolo di mejòr jugadòr de la Copa. “L’ho letto anch’io e ve lo consiglio: una storia che vi farà inginocchiare” (don Alessio Albertini, fratello di Demetrio, ex centrocampista del Milan).
“La noia”. Altro non è che il dettagliatissimo resoconto della finale del Prater di Vienna (siamo nel maggio del ’90) tra Milan e Benfica, una delle partite meno avvincenti (eufemismo) della storia del calcio europeo. Raccontato da 90 tifosi tristi del Benfica, che ne descrivono un minuto ciascuno, è un grido disperato di dolore, una tragedia greca catapultata nella Lusitania del XX secolo. “Il romanzo è molto ma molto meglio della partita” (Walter Veltroni, dall’ultima di copertina).
“Dei delitti e delle pene”. Cosa si cela dietro la maschera rude di Tibio Peròn, energico difensore incontrista dei Legamèntos di Villa Dolores? E quella ridda di voci che vogliono proprio Villa Dolores (paesino con annessa omonima casa di riposo per calciatori anziani segnati da pesanti infortuni), al centro di un losco giro d’affari che lo vede coinvolto? E perché si sussurra negli spogliatoi che “uno che di centravanti ne ha fatti secchi a palate potrebbe fare soldi a palate persino con una casa di riposo, dove talvolta avvengono strani decessi (dei delitti) e di tanto in tanto si utilizzano strumenti di tortura (delle pene)”? “Tra Simenòn e Chandler, per una serata da brividi, in poltrona e in pantofole, c’è Chabatta!”. (Corrado Augias, ospite a Che tempo che fa, Raitre).
“I fratelli Karamazov”. Considerato dalla critica il suo capolavoro, si tratta di una triplice biografia, nella quale i sentimenti dei protagonisti prevalgono sulle loro azioni (di gioco). Poco conosciuti tra le grandi dinastie del calcio, i fratelli Karamazov dovrebbero occupare un posto d’onore nella Hall of Fame dei big brothers, insieme ai fratelli Charlton, ai Baresi, ai Van de Kerkhof, ai De Boer, ai Cannavaro. “I tre K”, come venivano soprannominati, formavano la linea d’attacco più prolifica dello Stalinec Leningrado, molti decenni fa. Una squadra fortissima, che per ben quattro volte di fila sfiorò – senza fortuna – la vittoria nell’allora campionato sovietico: lo Stalinec perse infatti il treno buono nel 1925 con la Lokomotiv Mosca; venne poi annichilito nel ’26 dallo Spartak Mosca (giocavano sì in 11, ma sembravano 300); nel ’27 a spegnere il loro entusiasmo fu la Dinamo Mosca; infine, nel ’28, subirono una clamorosa tramvata scontrandosi con la Torpedo Mosca (a quei tempi un vero squadrone, tanto da essere soprannominato “il Torpedone”). I Karamazov erano attaccanti per vocazione, con ruoli simili ma non sovrapponibili, caratteri assai diversi, se non incompatibili, almeno fuori dal terreno di gioco. Dimitrij, violento e passionale, sapeva essere molto generoso, soprattutto con i propri tifosi; dopo quella serie di sconfitte si arrese alla droga e all’alcool; Ivàn, ateo, raffinato intellettuale (libri e pallone, pallone e libri), era però incapace di accettare le incongruenze del mondo del calcio (ma anche della vita stessa): le quattro finali perse lo indussero a scappare in Corea del Nord; Alësa (o in altre traslitterazioni Aljoscia), illuminato dalla fede e dall’amore per uno sport che intuisce come metafora assoluta della vita: a fine carriera sceglierà di allenare i giovani novizi nel convento del suo cappellano alloStalinec. “Un romanzo che farà sognare e divertire persino i figli unici” (Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, dalla recensione sul suo blog – a noi viene però il sospetto che non abbia colto la drammaticità del romanzo chabattesco).