A volte vien da pensare che potrebbe non avere del tutto torto lo scrittore statunitense Stephen McCauley, quando – con fare sarcastico – afferma senza remora alcuna che “al giorno d’oggi, la maggior parte delle università vanno classificate nello stesso settore degli ospizi per vecchi – luoghi dove le persone vengono scaricate per qualche anno, perché stanno attraversando un momento un po’ difficile della loro età”. 



La citazione ci è venuta spontanea (lo giuriamo: questa volta non ci ha aiutato il nostro amico Zingarelli…) leggendo quanto scritto da Massimo Gramellini sulle colonne della “Stampa”: “Se Zap significa cifra singola divisibile per 7, Zup significa cifra singola divisibile per 5 e Zep significa cifra singola divisibile per 4, con quale scrittura può essere espresso il numero 48? a) zep zep, b) zap zap, c) zup zep, d) zep zap, e) zep zup”. 



Una premessa: non stiamo parlando di zuppe né di zeppe, tanto meno di zappe o di zapping. Gli “zap-zep-zup” in questione hanno a che fare con i famigerati test di ammissione universitari. Poveri noi, allora, e poveri gli studenti universitari di medicina (già, di medicina!) che hanno dovuto cimentarsi nelle scorse settimane con domande di tale portata, che per la loro complessità prevedono risposte multiple con ben cinque possibilità.

E pensare che noi ci si era fermati all’abc dei test, cioè a quesiti del tipo: “Che cosa studia l’entomologia? a) I mammiferi, b) gli insetti, c) il linguaggio dei gesti”; oppure “Non tutti i bicchieri sono di cristallo. L’affermazione equivale a: a) alcuni bicchieri non sono di cristallo; b) tutti i bicchieri sono di plastica, c) tutti i bicchieri sono di cristallo”.



A questo punto, vestendo i panni dei maturati-aspiranti-matricole alle prese con i test di ammissione, nuove domande sorgono spontanee: la scuola è ancora una palestra di vita? O forse la palestra dà vita al di fuori della scuola? E la vita contempla ancora la palestra della scuola?

Ma torniamo ai test. Dovesse proseguire il trend all’insegna del “zapzepzupismo” a veterinaria i candidati potrebbero presto cimentarsi con domande (e risposte) del tipo: “Se una farfalla batte le ali a Pechino e a New York si scatena una tempesta, a Londra: a) se pioviggina, manco aprono l’ombrello; b) alle cinque, accada quel che accada, è sempre l’ora di prendere un thè; c) già la Brexit è stata uno tsunami, ci mancava pure questa! d) se ne sbattono le balle, perché tanto è un problema di New York; e) mandano a Pechino i corpi speciali del Sas per catturare quella maleducatissima farfalla”.

A Scienze e tecniche psicologiche, invece, una delle 100 domande potrebbe suonare più o meno così: “Se di mamma ce n’è una sola, quale deduzione ne ricavate: a) come mai al mondo siamo più di quattro miliardi e mezzo?; b) non è detto che il papà non sia cornuto; c) la nonna non esiste; d) a prendere il latte andiamo tutti spontaneamente perché a farsi mandare è solo la ragazza della famosa canzone di Gianni Morandi; e) il proverbio “dire a nuora per far intendere a suocera” va cambiato al maschile (“dire a Nuoro per far capire a suocero”).

Insomma, la situazione rischia di diventare grave. E allora, ecco il test che proponiamo: “Se i test universitari sono ormai così fuori di test che fanno venire il mal di test, la soluzione migliore sono: a) i TEST ICOLI, domande cazzute, per gente che ha le palle; b) i TEST E’, domande a bruciapelo che richiedono una sola risposta; c) i TEST ARFILTRO, domande, racchiuse in una bustina, a cui rispondere con la massima rilassatezza, magari sorseggiando una bella tisana calda; d) i TEST O CROCE, domande a doppia risposta, la cui soluzione dipende dal lancio di una monetina; e) i TOAST, domande secche su argomenti “caldi” (soluzione valida solo per le facoltà di Scienze e tecnologie alimentari o Scienze gastronomiche oppure Scienze della nutrizione)”.

Ai lettori l’ardua sentenza.