C’è enorme attesa per la presentazione di Robinù, il documentario ideato e diretto da Michele Santoro che approda oggi alla 73esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia nella nuova sezione non in gara Cinema nel Giardino. Nel corso dell’anteprima per la stampa la pellicola ha ottenuto un ampio consenso anche per gli intensi temi narrati. Al centro del documentario, il mondo di quei “soldati bambino” che appena 15enni imparano a sparare in una Napoli dove negli ultimi due anni, ricorda Tiscali.it, le bande di adolescenti si combattono a colpi di kalashnikov. Una vera e propria mattanza che ha portato a ben 60 vittime e che non a caso viene chiamata “paranza dei bambini”. La sinossi ufficiale esordisce con una frase che simboleggia l’intero contenuto del delicato documentario: “Tu queste cose le devi fare ora. Perché così, se vai in galera per vent’anni, esci e hai tutta la vita davanti”. In vista dell’esordio di Michele Santoro al Lido, in rete già circola il video del trailer che si presenta come un vero e proprio pugno in pieno stomaco. Clicca qui per vedere il trailer ufficiale.



Ha ricevuto applausi Robinù alla proiezione in anteprima per la stampa al Festival di Venezia 2016. Alla 73esima edizione della mostra del cinema Michele Santoro fa il suo esordio con un documentario su quella che è stata definita “la mattanza dei bambini”: si tratta di una faida tra baby boss della camorra per il controllo dello spaccio della droga a Napoli, faida che ha fatto molte vittime nello scontro tra gang rivali e nelle ritorsioni delle famiglie più potenti della zona. I baby boss sono nati negli anni 90′ e hanno iniziato a sparare a 15 ma molti di loro non sono arrivati a compiere 30 anni. Robinù segue le storie di alcuni baby boss ora in carcere e dei loro coetanei e familiari fuori. Il documentario viene presentato oggi al Festival di Venezia 2016: come riporta l’agenzia di stampa Adnkronos, all’anteprima per la stampa ha ricevuto un lungo applauso.



“I baby boss” o “la paranza dei bambini”, oppure ancora “i barbudos”. Questi sono i nomi con cui vengono definiti i camorristi di oggi, molto diversi da quelli degli anni passati e sempre più giovani. E’ inoltre il tema attorno a cui ruota il film – documentario Robinù di Michele Santoro, che verrà proiettato oggi, mercoledì 7 settembre, al Festival di Venezia 2016. Lo spazio dedicato sarà quello della Sala Giardino, dove tutti i visitatori potranno entrare gratuitamente. Perché così giovani? E’ questa la prima domanda che viene in mente a chiunque, guardando i volti ancora bambini di questi nuovi gangster di Napoli. La barba spesso inganna (da cui il termine “barbudos”), ma quegli occhi ancora adolescenziali la dicono tutta sulla loro età. Spesso infatti, al pari di tutti i baby soldati, abbracciano il clan poco più che bambini e spesso non arrivano nemmeno all’età adulta. I baby boss hanno introdotto negli ultimi anni diversi cambiamenti all’interno della stessa camorra, arrivando anche a portare all’estremo la violenza. Sono infatti camorristi della nuova generazione, ribelli e dal grilletto facile. Già perché come spiega uno dei protagonisti del documentario, avere l’arma è essenziale. E non “il ferro”, come spesso veniva definita la pistola, o il fucile. Ci vuole un’arma pesante, capace di incutere timore a chi la possiede già. Il kalashnikov diventa quindi l’unica soluzione, sia perché ha 30 colpi sia perché l’emozione che ti dà, a suo dire, è impagabile. “E’ come abbracciare Belen”, riferisce, andando così a sostituire il valore che fino ad po’ di anni fa aveva avuto la macchina e che ora ha invece il piombo. Nella camorra il comando ce l’ha chi spara di più, chi non ha paura di niente. Non chi è pronto a morire, ma chi ha superato anche il timore di venire ucciso. Perché con un “kalash” in mano, è difficile che qualcuno ti fermi. Piuttosto fai fermare tu, anche la Polizia. Anche quei rivali che magari cercano di prenderti il posto di Boss. Nessuna aspettativa per uno dei protagonisti di Robinù, ora rinchiuso in carcere per 16 anni, che annuncia anche che una volta fuori “sarò peggio di prima”. All’esterno gli amici di prima lo aspettano, molti lo ammirano anche, tranne quel fratello che ha rinnegato dal carcere e che per non avere nulla a che fare con la malavita si è trasferito a Parigi per fare il pizzaiolo. Storie raccapriccianti che mostrano un lato della città partenopea evidente a tutti, ma che si pensa ancora lontano. Eppure, quegli omicidi, quelle stragi, tutte quelle vittime parlano eccome. 

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