1643. Padre Rodrigues e Padre Garupe, due giovani missionari portoghesi, partono alla volta del Giappone per conoscere la verità su Padre Ferreira, loro padre spirituale. Di lui si racconta che abbia commesso abiura, rigettando la fede cattolica, e mettendosi al servizio dello Shogun giapponese. Increduli e disorientati, i due trovano a Macao, in Cina, una barca e una guida che li porterà fino in Giappone, dove si confronteranno con un mondo pericoloso, ostile e violento contro il cristianesimo.
A tre anni dal successo planetario di The Wolf of Wall Street, Scorsese torna alla regia con un film che sembra essere il suo opposto. Tanto rapido e incontenibile il primo (nonostante i 180 minuti), quanto lento e intimista il secondo. Silence è un film di fede, quella fede che anima il privato e la storia di Scorsese, cresciuto nel cattolicesimo e nei provanti dubbi dell’esistenza.
La storia di martirio e coraggio di uomini comuni e di preti, nel Giappone del XVII secolo è la storia dello scandalo della croce. Difficile capirne il senso intimo, lacerante, visionario e folle, se non si viviamo a nostra volta animati da una fede viva, se non proviamo le contraddizioni quotidiane dell’esistenza, se non sentiamo la sfida, fuori moda, del richiamo di Dio.
Padre Rodrigues e Padre Garupe sono due giovani preti, divisi dal temperamento e uniti dalla fede incrollabile in Gesù Cristo. Due visi scavati ed espressivi. Due interpretazioni meravigliose, valorizzate dal tocco miracoloso di Scorsese. Due storie di paura e di coraggio. Trascinati dall’irrefrenabile desiderio di rincontrare il proprio mentore Padre Ferreira, i due ragazzi si ritrovano in Giappone a interpretare inaspettatamente il ruolo di eroi, messaggeri di Dio, adulati e venerati come divinità, responsabili di tenere viva quell’ansia di cristianità disperata e spietatamente saccheggiata.
Di fronte a uno stuolo di pecore smarrite e insicure, bisognose di corpi veri da toccare, da seguire, da imitare, Rodrigues e Garupe si scoprono tramite indispensabile di fede. È con loro che il cristianesimo sopravvive. È con loro che il cristianesimo muore. Da questa responsabilità discendono dubbi distruttivi. Disprezzare la vita reale per guadagnare la vita eterna. Una fede profonda, una spiritualità assente, o debole, nella vita contemporanea. Credere non come scelta personale, ma come necessità da rivendicare, per testimoniare e rispettare il proprio Dio, oltre il dolore fisico e il tormento quotidiano.
In questo scenario di atroce violenza, che il film mostra senza esibizione, il silenzio di Dio è assordante. La fede vacilla, colpita a morte dall’insensato, crudelmente violata non solo dalle torture verso di sé, ma anche di quelle verso gli altri. L’abiura, con un cortocircuito misterioso e ironico, diventa strumento di salvezza.
Passando dalla certezza al dubbio, alla solitudine fino alla comunione, la storia di Silence è la storia di una fede ammirevole, che alle domande impossibili della vita sceglie di dare le uniche risposte possibili per l’uomo, che siano esse la fiamma dello Spirito divino o l’alito umano e disperatamente terreno della propria coscienza.
Silence è un film difficile, coraggioso anche per lo spettatore. Avvolto da scenari e atmosfere di grande fascino e suggestione, chi guarda rimane avvolto nella nebbia, soffrendo lo scorrere del tempo che non passa, colpito da una storia, vera e assurda, di silenzio.