Il film Un perfetto criminale mi è piaciuto per la sua ironia: è un action non estremo e spesso si confondono i buoni con i cattivi e viceversa. È uscito nelle sale nel 2000 per la regia di Thaddeus O’Sullivan e con protagonista Kevin Spacey, già attore affermato con in tasca due Oscar per I soliti sospetti e American Beauty. Girato a Dublino con la luce, il tempo e i colori dell’Irlanda con l’utilizzo sovente di immagini girate con grandangolo, il film racconta di una banda con a capo Michael Lynch (Kevin Spacey), che compie rapine incredibili. Lui è il capo vanitoso e narciso sposato con Christine (Linda Fiorentino) con prole, ma con una relazione allargata alla sorella della moglie, questa  consenziente. In più per vivere fa il ladro. Vita perciò peccaminosa che contrasta con il clima della cattolica Irlanda, con i vari crocifissi e segni della cristianità che si vedono nel film, come la Santa Comunione di una delle figlie.



Imprendibile dalla polizia, sempre con casco e sottocasco, compie rapine ma non viene mai incastrato. Gli dà  una caccia ossessiva il tenente Noel Quigley (Stephen Dillane), che impersonerà nel film successivo il tenace supervisore della Cia che tenterà di incastrare Robert Redford in Spy game.

Il film si sviluppa tra rapine, scene familiari, violenza della banda, inseguimenti, tutto in maniera molto ironica. Si parla del piano della rapina e subito in flashback si alternano le azioni criminose. Il nostro vuole lasciare un segno nella storia e ruba un quadro di Caravaggio, la “Cattura di Cristo”.



Ho scelto questo film anche perché mi piacciono le pellicole in cui l’arte partecipa o ne è protagonista. L’azione di come la banda ruba il quadro è tutta da vedere e anche da ridere, ricorda un po’ alcuni film di Totò.

Le indagini di Quigley si concentrano su Michael, al tempo stesso l’Ira si intromette per impossessarsi del quadro. Braccato e tradito da alcuni componenti della banda, Michael gioca la sua ultima carta con finale scoppiettante che non rivelo per non togliere la sorpresa. Il poliziotto Noel resterà alla fine con nulla in mano, ma al tempo stesso gli resterà un’ammirazione per il bandito mascherato.



In tutto questo, come dicevo, si confondono i buoni e i cattivi e viene da parteggiare per Michael. È un ladro, un bandito, un peccatore che in due scene del film si trasforma nella figura di Gesù del quadro, come se fosse lui il Salvatore e non invece il traditore Giuda o l’uomo che tiene la lanterna in mano alla ricerca della fede. Di fatto si auto-assolve.

Ho avuto l’occasione di rimirare la “Cattura di Cristo” anni or sono: è di una bellezza straordinaria come molti altre opere del Caravaggio. Questo quadro ha una storia particolare, che viene tratteggiata anche nel film. Scoperto per caso in un refettorio di un convento religioso, venne restaurato e presentato al mondo.

Nel film, Michael, a insaputa della banda, sostituisce l’eccellente copia posta nell’istituto religioso con il quadro vero rubato. Quando Quigley cerca di recuperare l’opera succede un patratac, i suoi poliziotti sparano a due della banda che si erano fatti scudo con il quadro, sforacchiandolo con mitragliette e pistole. Il quadro vero continuerà a vivere all’insaputa di tutti nel refettorio dove era rimasto per centinaia di anni.