Giornali, Gr e Tg ci hanno inondato di opinioni e immagini, così che è prepotentemente tornata a galla una parola non diciamo caduta in disuso, ma per lo meno accantonata da un po’ di tempo: autonomia. Come dice lo Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché le ha rubacchiate qua e là in giro per le repubbliche autonome del mondo, “il termine autonomia ha due significati. 1) se pronunciato tutto d’un fiato – autonomia – significa, in senso ampio, capacità e facoltà di governarsi e reggersi da sé, con leggi proprie; 2) se biascicato sillabando – auto-no-mia – significa che al volante di una vettura, intercettata dai Carabinieri e priva di bollo, assicurazione e targa, c’è un conducente di lingua straniera che tenta di giustificarsi per non vedersi comminata la multa con relativo sequestro del mezzo”.



Oggi, però, parliamo di autonomia intesa nella prima accezione. Quella, tanto per intenderci, per cui la Catalogna entra quasi in guerra con Madrid: una lingua, un popolo, una bandiera e, quindi, una nazione, ripetono fino allo sfinimento i sostenitori dell’indipendentismo; domenica prossima la Lombardia spenderà 23 milioni di euro per consentire il voto elettronico al referendum sull’autonomia (consultivo, perciò non vincolante), nel quale verrà chiesto ai residenti (come farà anche il Veneto) di esprimersi per quella maggiore autonomia prevista dall’articolo 116 della nostra Costituzione. E persino l’Emilia Romagna ci sta facendo un pensierino, mentre in Europa stanno valutando il da farsi anche Kosovo, Scozia, Irlanda del Nord, Fiandre e Crimea. Pure in Africa si sta affermando una gran voglia di autodeterminazione: pensate che, in Burkina Faso, il Faso reclama la sua secessione dal Burkina, aspirando a diventare uno Stato autonomo, che in tal caso prenderà il nome di Faso Tuto Mi! E da gran tempo addirittura nelle stesse mura domestiche si respira voglia di indipendenza. Anzi, proprio sulla scorta di queste intricate situazioni, riceviamo e volentieri pubblichiamo.



«Carissimi ComicAstri,

è con accorata preoccupazione che vi scrivo. Non so più a che santo votarmi. Rido per non piangere. E forse è per questo che mi rivolgo a voi. Vengo al dunque: la situazione in famiglia sta precipitando, mi sento assediato da forze che cingono d’assedio ciò che rimane della mia forte fibra. Sarà che i figli crescono, sarà che le mamme imbiancano, sta di fatto che solo mia suocera sembra aver trovato, se non proprio la ricetta dell’immortalità, quanto meno l’elisir di lunga, immutabile, e pure salutare, vecchiaia. Di fatto, tutti si ribellano contro di me, tutti rivendicano maggior autonomia. E io sembro la causa principale del loro malcontento. A partire da mia moglie Ausilia. Sposata 24 anni fa, solo ora si accorge che il suo nome di battesimo non è più in linea con le sue attuali pretese. “Di nome faccio Ausilia, dal latino auxilio (aiuto, soccorso). Allora perché in casa non mi aiuta nessuno e faccio tutto io? Perché quando tu rientri la sera a casa cerchi subito la poltrona, in attesa della cena? Manco ti chiamassi… che so, Placido o Tranquillo! Sai quanto piacerebbe anche a me avere le mie autonomie…”. Stesso dicasi per i figli. Lucrezia e Augusto, 16 e 18 anni. Sono figli del loro tempo (seppure ho il dubbio – che mi tengo da una vita – che la secondogenita sia figlia del panettiere). Mi dicono che li “stalkero” (personalizzazione del termine stalking, che indica molestie così pesanti che rendono la vita impossibile) aspettandoli sveglio la sera fino a tardi e controllando i loro “ultimi accessi” su whatsapp. Persino la Lucia, quel plantigrado (non so se più di stazza o di carattere) che asserisce (quanto meno da quando ha deciso di svernare a casa mia) di essere la madre dell’Ausilia (ma nessuno ne ha le prove) sostiene che vorrebbe rimanere più spesso in casa da sola la sera, così da poter godere di maggior autonomia nella scelta dei programmi televisivi. Se mi avete seguito sin qui, cari ComicAstri, converrete che la situazione è grave. Per cui, non vi dico di grattarmi la rogna (mica potete venire a vivere con noi), però… per favore… stupitemi con qualche consiglio dei vostri!”.



Andrei Aramengo – Aramengo (Asti)

Gentile signor Aramengo da Aramengo,

grazie innanzitutto per averci scritto. I nostri venti lettori talvolta ridono (almeno questo è il nostro auspicio), ma non ci scrivono spesso. Forse perché si aspettano che a scrivere ci si pensi noi, tutti i martedì che Dio manda in terra. La questione che lei ci sottopone è seria e, come lei stesso ci confessava, ci sarebbe più da piangere che da ridere. A conferma di ciò, potremmo aggiungere che la situazione delle nostre due rispettive famiglie (sì, forse non se lo aspettava, ma abbiamo una moglie per uno: mica si possono fare sempre tutte le cose insieme!) non è molto dissimile dalla sua. Perciò, essendo tutti (noi e lei) sulla stessa barca, possiamo semplicemente proporle questa sorta di decalogo, elaborato in quasi trent’anni di onorato servizio maritale sulle spalle (ormai anchilosate).

1. Fare sempre buon viso a cattiva sorte

2. Minimizzare fino allo sfinimento

3. Annuire (fin che si può) alle affermazioni altrui

4. Anticipare (come un abile scacchista) le mosse dell’avversario

5. Fare all’occorrenza orecchie da mercante

6. Non recedere mai dalle proprie convinzioni

7. Trasmettere emotivamente la percezione di un destino cinico e baro incombente sulla famiglia

8. Fare la voce grossa solo come “extrema ratio”

9. Consolidare le ragioni dell’interlocutore solo e soltanto quando si abbia la possibilità di triangolare la colpa su una terza persona (perciò, un altro familiare; nel suo caso, il plantigrado)

10. Considerare vostra moglie orfana almeno da prima della maggiore età.

Un’avvertenza: segua scrupolosamente e nel dettaglio questo decalogo. Qualsiasi altra scelta, operata in totale autonomia, potrebbe non sortire i risultati attesi. E qualora i nostri consigli diano i frutti sperati, provveda – con piena autodeterminazione – a inviare una lauta offerta al Sussidiario, specificando il destinatario con la dicitura “Pro ComicAstri”.