Con il film “Nove lune e mezza”, Michela Andreozzi si è fatta conoscere non solo come attrice ma anche come regista, nella sua opera prima che la vede impegnata sul grande schermo. Di strada ne ha fatta da quando, da dietro le quinte, scriveva i testi per Domenica In prima e poi per Non è la Rai. Quindi il salto davanti allo schermo, prima di approdare anche a teatro. Oggi il suo nome è strettamente connesso a quello della pellicola Nove lune e mezza, definita dalla stessa e dalla critica un film “al femminile”. Questo potrebbe forse fargli rischiare una cattiva interpretazione? La neo regista ci scherza su ed ammette in una intervista per Il Giornale Off: “Finché c’è una classificazione di genere, preferisco usarla”. In ogni caso, alla Andreozzi quella definizione non sembra affatto dispiacere poiché include quel desiderio importante di far sentire quella voce femminile, così tanto rara nel nostro Paese. “Se riusciamo a dar spazio anche alle voci femminili nostrane e c’è un po’ di “strategia” dietro, per me va benissimo”, dice. Al centro della pellicola un tema certamente delicato ma sempre più ricorrente: il desiderio di diventare mamma, anche ricorrendo alla maternità surrogata con tanto di proposta particolare. Un debutto non semplicissimo, dunque, per l’attrice che si è ritrovata dietro la macchina da presa. “Io volevo fortemente esordire con un tema che fosse il più possibile personale e femminile e col maggior numero di elementi che potevo maneggiare con confidenza”, racconta Michela, che sottolinea come dietro la sua pellicola non ci sia alcun intento sociale. “Mi premeva parlare delle donne come me, che non hanno figli e hanno tutto il diritto di esistere”, dice.

NOVE LUNE E MEZZA: RICHIAMI E STILI, MA NON MANCANO SPUNTI “NAIF”

Sebbene si consideri una donna complessa (come lo è gran parte del genere femminile), la Andreozzi desiderava che suo figlio (ovvero il film) giungesse al pubblico in tutta la sua estrema semplicità. Ed a quanto pare, stando ai feedback finora ricevuti, ci sarebbe riuscita in pieno. Essendo la sua prima volta dietro la macchina da presa, inevitabilmente Michela ha dovuto prendere ispirazione dai registi che stima e dal loro lavoro. E così ritroviamo alcune scene ispirate a Soderbergh, altre allo stile usato da Gabriele Muccino, ma non mancano riferimenti stilistici anche a Coppola, Monicelli e Scola. Ci sono poi i richiami a ciò che è stato anche un altro suo grande amore, il teatro, così come molti degli attori protagonisti del film. Ma qualcosa di naif (e di cui andarne fiera) è rimasto, al punto da commentare: “Volevo che conservasse delle ingenuità perché era anche, probabilmente, la parte più onesta del lungometraggio”. Tornando alla pellicola, nelle note di regia Michela Andreozzi ha affermato: “l’idea era quella di parlare di cosa significa essere donna oggi”. Sotto questo messaggio la regista ha voluto sottolineare le difficoltà per una donna nel riuscire a rispondere a tutte le aspettative. “Quest’emancipazione non ci ha fatto benissimo perché ha dato luogo a delle super donne”, dice, ma anche le madri le ha considerate delle vere eroine. “Io ho deciso di dedicarmi alla mia vita di coppia e di essere umano e non di donna e basta”.

MICHELA ANDREOZZI, IL RAPPORTO CON IL CORPO E L’OMOSESSUALITÀ

Nel suo Nove luna e mezza c’è anche un riferimento importante al cambiamento del corpo durante la gravidanza. La Andreozzi in merito al suo personale rapporto con il corpo ha commentato: “Io tra rimanere giovane e bella, preferisco restare bella, ma a seconda dell’età che si ha e poi per quelle come me che sono le ragazze della porta accanto è più semplice invecchiare”. La chiacchierata si è quindi spostata su un altro tema molto attuale e sul quale sia la regista che il marito (Massimiliano Vado) si sono esposti chiaramente, ovvero la difesa dei diritti degli omosessuali. “Io sono per la totale libertà di esistere e di scegliere e sono per la difesa dei diritti di tutti”, dice. Anche nel suo film c’è il tema della “famiglia arcobaleno”, che tra l’altro la Andreozzi definisce anche la più equilibrata nella storia. Questa sua posizione, fortunatamente, non ha avuto alcuna conseguenza né le ha precluso delle strade nel corso della sua carriera. Sul finale di intervista c’è stato spazio anche per un pensiero a Gianni Boncompagni, che all’epoca di Non è la Rai la scelse come autrice. “Era un uomo che sapeva fregarsene delle cose che andavano, per l’appunto, ignorate e sapeva, invece, dar peso ai rapporti umani”, dice. E su se stessa, come attrice, autrice e regista chiosa ricordando come nel corsa della sua carriera non sia mai dipesa da nessuno, “non ho avuto mentori né pigmalioni”.