Se a qualcuno può sembrare una battaglia sui generis, in Francia ha invece scatenato un acceso dibattito. Come riportato dal Foglio qualche giorno fa, Michael Edwards, l’unico inglese che fa parte dell’Académie Française, ha definito il progetto “sconcertante”. Di cosa si tratta? Pare che i linguisti siano (e secondo noi giustamente) preoccupati del fatto che una nuova versione neutra della lingua francese possa inopinatamente prendere piede nelle scuole e nella vita politica, sostenuta oltremodo dall’ineluttabile Commissione per la parità di Stato e da altri ministeri di tendenza Minculpop. Questa ondata neolinguistica, ormai nota (nota per lo meno in Francia, ma – state tranquilli – saremo buoni secondi: quando c’è il politically correct di mezzo, siamo lenti, ma inesorabili…) come écriture inclusive (scrittura inclusiva), vorrebbe fregiarsi del titolo di moderna sintassi, lanciata in nome della parità, tesa a liberare la lingua francese dal “dominio grammaticale maschile”.



In cosa consisterebbe questa “Rivoluzione francese” dell’ortografia? Oltralpe c’è voluto un intero manuale scolastico destinato alle scuole elementari, ma noi abbiamo l’ambizione di spiegarvela in poche e semplici suggestioni, visto che tutto può essere riassunto in un paio di regolette. Prima regoletta: il genere dei nomi di funzioni, gradi, mestieri e titoli si declina al femminile. In caso di un presidente femmina, dunque, occorrerà parlare di “presidenta”. Davanti a un’insegnante donna (circostanza invero non infrequente), si dovrà mettere a registro l’esatto termine di “professora”. Seconda regoletta: il plurale, che utilizza il maschile anche per designare quei gruppi all’interno dei quali ci sono uomini e donne, deve essere scomposto e inserito dopo la radice della parola, con i suffissi maschili e femminili separati da un punto a mezza altezza. Per indicare, ad esempio, “i candidati alla presidenza della Repubblica” sarà necessario scrivere “i candidat·e·i” (in francese: les candidat·e·s)“.



Ora, immaginiamo – solo per un attimo, ma proviamo a farlo – che questo manuale sbarchi qui da noi. Consideriamo senza indugio la regoletta numero uno: così enucleata, porterà alla sicura ribellione un cospicuo nucleo di categorie di lavoratori. Citiamone per comodità tre: gli autotrasportatori, gli artigiani addetti alla posa di impianti elettrici e i coltivatori di fiori nelle serre. Basta con “il camionista”, “l’elettricista” e “il florovivaista”, con la loro obsoleta desinenza al femminile; si esiga d’ora in poi “il camionisto”, “l’elettricisto” e “il florovivaisto”, e chi s’è visto s’è visto!



Ma è soprattutto la regoletta numero due che può generare soverchie confusioni. In primo luogo: dove andare a scovare il punto a mezza altezza sulla tastiera del pc? Inoltre, prendendo come metro di paragone il tiro nel gioco del calcio, potrebbe essere utilizzato, insieme al sopraccitato punto a mezza altezza, anche il punto al volo, il punto di controbalzo o addirittura il punto all’incrocio dei pali? E con quali simboli grafici? Immaginatevi, poi, l’imbarazzo dell’oratore e lo sconcerto dell’uditorio nel dover leggere (e dover ascoltare) un qualsiasi intervento pubblico del tipo: “Car·e·i collegh·e·i, siamo qui oggi tutti riunit·e·i, a fianco dei nostri associat·e·i, innanzitutto per ringraziare tutt·e·i le illustr·e·i autorit·à·i presenti e tutt·e·i i sostenit·rici·ori che in questi anni ci hanno affiancato…” eccetera eccetera. 

Su una simile svolta lessicale epocale, però, prevediamo che la nostra “presidenta” della Camera, Laura Boldrini, da sempre attenta ai temi dell’inclusione, avrà ben presto modo di esercitarsi in maniera decisa e innovativa rispetto al mainstream francese. Durante una visita alla centrale idroelettrica del Coghinas, in Sardegna, e memore che tutt·e·i quell·e·i e·i final·e·i non farebbero che intralciare la dizione a milioni di suoi connazionali, pare abbia avuto una folgorazione (era pur sempre una centrale idroelettrica…): così ha deciso di tagliare la testa… al maialino (era pur sempre in Sardegna, patria del porceddu e del filu ‘e ferru) vagheggiando l’utilizzo, come lettera finale, della “U”, l’unica vera vocale neutra e inclusiva della nostra lingua, la sola in grado di mandare in soffitta tutte le parole che finiscono per “A”-“E”-“I”-“O”. Insomma, una sorta di “inclusione a U” che i suoi collaboratori, all’unisono e all’unanimità, hanno promosso a pieni voti: “U che bravu, lu nostru presidentu di Montecitoriu!” (erano pur sempre tutti in Sardegna…).

Cosa aggiungere, a mo’ di chiosa, a questo pezzo sulla scrittura inclusiva, se non includendoci la nostra personalissima riflessione, che – non è da escludere – potrebbe includere qualcosa che non piacerà agli inclusivi? Ebbene, questo escamotage linguistico-ortografico sembra escludere tanto coloro che si vuole includere, quanto coloro che da un tal approccio sono di fatto esclusi, a cagione del fatto che inclusione ed esclusione non dipendono dalla scrittura inclusiva, ma dall’abilità oratoria e letteraria di chi vuole includere, perché chi include deve essere semplice, poco esclusivo, un tantino intrusivo e, soprattutto, per nulla inconcludente… Chiaro? O no???