Il Consiglio dei Ministri ha appena approvato tre decreti che contengono diverse norme a sostegno del cinema e dell’audiovisivo italiano. Sicuramente positive quelle che migliorano incentivi e sgravi fiscali come il tax credit. Invero curiose quelle che riguardano gli incentivi per chi apre o ristruttura sale cinematografiche, proprio quando questo genere di fruizione sta entrando in una crisi strutturale a causa del successo delle pay-tv. Al centro di grandi discussioni, poi, quelle che intimano per legge ai broadcaster e ai distributori di contenuti di proiettare, anche in prima serata, film italiani. 



Nei vari comunicati si afferma di essersi ispirati a ciò che ha sempre fatto la Francia in questo settore. Già, è vero. Peccato però che la Francia da molti anni abbia aiutato la propria industria audiovisiva promuovendo soprattutto le produzioni di qualità, e con facilitazioni oggettive ai produttori tramite il lavoro delle Film Commission diffuse in tutto il Paese. 



Da noi invece si interviene quando i buoi sono fuggiti dalle stalle, ricicciando alla fine l’atteggiamento autarchico che già in passato ha distribuito sovvenzioni a pioggia a modesti film italiani (quasi sempre finite poi agli amici degli amici), scaricandone l’onere sulle spalle delle tv. Di conseguenza brindano autori e produttori, mentre strillano (assai correttamente) editori tv e distributori di contenuti, perché sanno benissimo che questo atteggiamento dirigistico cozza contro le più elementari regole del mercato. 

Peccato che autori e produttori non si chiedano mai perché il cinema italiano sia sempre più in crisi… ebbene, ve lo dice Yoda: a causa di storie minimaliste, incentrate sull’ombelico di dimensioni egoriferite, girate in italiano, mai spettacolari, e con una scrittura mediamente modesta, checché ne dicano le associazioni degli autori. Produzioni abituate da molti anni a essere assistite a fondo perduto, a prescindere dal duro confronto con il mercato nazionale, figuriamoci quello internazionale.



A ben guardare, i decreti appena approvati hanno un chiaro sapore pre-elettorale, in quanto perfettamente adatti a catturare il consenso delle migliaia di persone che lavorano nell’industria dell’audiovisivo, in decadimento per mancanze di idee, non di sostegni. Insomma, una nuova versione degli 80 euro, promossa invocando l’articolo 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. “Ma – ha scritto Pierluigi Battista sul Corriere della Sera – le idee, l’arte e la cultura, che appunto non sono merci come le altre, hanno bisogno dell’ossigeno della libertà, dell’apertura, dello scambio e non devono difendere un orticello tricolore, rivendicare un primato stabilito dalla legge e non dal consenso del pubblico, di chi sceglie di vedere buoni film e non perché è costretto. E sceglie di vedere buoni film, e non film obbligatoriamente italiani. Ma contro il virus dirigista non è stato ancora inventato un efficace vaccino, e purtroppo, bisogna ammetterlo con un certo rammarico, il vaccino del mercato non ha dato i frutti sperati. Per cui ci si illude che tornando indietro nei fasti autarchici si possa fare del bene al nostro cinema. Povero cinema. E povere televisioni”.