1980, Wimbledon. Il tempio del tennis mondiale sta per ospitare una sfida all’ultimo colpo tra Borg, il grande campione regnante e applaudito, al suo quarto successo consecutivo sull’erba della tradizione, e McEnroe, la grande turbolenta e fischiata promessa del futuro, alla sua prima scommessa sul futuro. Una storia di grande rivalità finita in un’amicizia.



Forse non bisogna essere dei grandi esperti di tennis per apprezzare questo film, ma un po’ appassionati certamente sì, perché la tensione è retta in gran parte dalla sfida sportiva, che alimenta la guerra ideologica tra due modi di essere storia. Da un lato Borg, l’iceberg. Un eroe affermato, al suo quarto “mandato” sull’erba di Wimbledon. Idolo delle folle, campione scientifico della vittoria. Molti risultati, poche parole, zero emozioni. Dall’altro McEnroe, il vulcano. Un giovane assetato di vittoria, alla sua prima finale nel tempio del tennis. Naturale obiettivo dell’odio pubblico. Fischiato e disprezzato per l’indole ribelle. Un’esplosione di passione, arroganza e strafottenza che ha segnato il tennis.



Divisi da una rete e da una visione del mondo, i due campioni si affrontano nella sfida stellare del 1980, attorno alla quale gira il film. L’esito, incerto fino alla fine, è registrato negli annali del tennis, ma è bene dimenticarlo per gustare appieno la storia che cresce, al crescere della rivalità sul campo. Una storia che pulsa e che parla il linguaggio degli uomini: vantaggio, servizio, errore, break, love, gli stessi ingredienti della vita.

Colpo su colpo, assistiamo alla scena di caccia dell’uno sull’altro, e dell’altro sull’uno, in un’inversione di ruoli che accompagna ogni cambio di campo e ogni immagine di futuro, per l’uno come per l’altro. La sfida è entrata nel mito, trasformando per sempre il tennis in uno scontro tra rockstar. Passato contro futuro. Una sfida di nervi. Di parole e di silenzi.



Janus Metz ci racconta l’incontro sportivo, guardando dal campo e dalle camere di albergo. L’intimità della vigilia, la frenesia dell’attesa, l’insicurezza dei campioni schiacciati dal peso di un popolo di giudici. Così lontani, così vicini. Campioni da fuori, uomini da dentro. Accomunati dal genio e dalla sincera fragilità dei campioni, singolarità talentuose e inumane, capaci di prodigi fuori serie.

Affascinati dalle storie non dette, il film ci porta dietro ai campioni, a conoscere le storie dei bambini prodigio, delle loro sconfitte, dei sacrifici infiniti per giungere alla gloria, passando sui corpi degli affetti in attesa. Un bel racconto di sport e di umanità/disumanità, a insegnarci che non si è numeri uno per caso, ma solo se si trova l’impasto improbabile e segreto di talento, sacrificio e infelicità.

Borg McEnroe è un film di passioni, che si perde un po’ nell’epica della guerra, quasi ideologica, cavalcando oltremodo i contrasti con eccessi di retorica e compiaciuto romanzo. Ma è un film che regge la sfida della tensione e dell’attenzione, provando a catturare lo spettatore anche inesperto, che può assaporare l’umanità dei campioni intuendone il genio, che l’appassionato divora con nostalgico malumore. Il tennis ci ha poi regalato grandi campioni, ma Borg e McEnroe non si dimenticano facilmente.