Un giorno, la vita di un uomo avventuroso ed energico viene stravolta da una malattia che lo immobilizza a letto, una poliomelite contratta in Africa. Come si trova la forza di reagire alla tragedia? È possibile trasformarla in un’opportunità e continuare a vivere nonostante tutto? Su questo tema è costruito Ogni tuo respiro, il lungometraggio di Andy Serkis, scritto da William Nicholson e basato sulla storia vera del padre del produttore Jonathan Cavendish.



I primi venti minuti hanno un tono molto diverso dal resto del film. Seguiamo la nascita della storia d’amore tra Robin Cavendish (Andrew Garfield) e la bella Diana Blacker (Claire Foy), che accetta di sposarlo e di andare in Africa con lui. Siamo nell’Inghilterra degli anni Cinquanta, i giovani benestanti giocano a cricket e prendono il tè in giardino. Dopo il matrimonio, qualche sequenza sullo sfondo dei tramonti infuocati introduce il dramma: una notte, Robin si sente male e viene ricoverato in ospedale. È poliomelite. Secondo i medici non ha speranze e Robin cade in uno stato depressivo, che lo porta a rifiutare le visite della moglie con il figlio appena nato. Desidera solo morire. 



Diana, però, non si arrende e insiste per portare Robin a casa e occuparsi di lui. Grazie all’amore della moglie, Robin recupera la voglia di vivere e coinvolge un amico scienziato/inventore, Teddy Hall (Hugh Bonneville), che mette a punto una novità per l’epoca: la sedia a rotelle con respiratore annesso. Robin può così uscire di casa, perfino viaggiare, nonostante gli imprevisti che lui e la famiglia sono costretti ad affrontare. Ingaggia inoltre una battaglia contro i medici, che condannano i pazienti paralizzati a un’esistenza “in sarcofago”. 

La storia è commovente, drammatica, eppure non manca l’ironia, affidata ai fratelli di Diana ma anche allo stesso Robin, che riesce ad alleggerire la sua condizione con una dose di British humor. Il tema forte intorno a cui è costruito il film è quello della scelta di vivere alle proprie condizioni, con l’aiuto delle persone amate. Per Robin non sarebbe stato possibile affrontare la malattia in quel modo senza l’amore di Diana e la presenza costante dei suoi amici. Emerge anche la forza di un uomo che decide di non lasciarsi schiacciare dagli eventi, accontentandosi di sopravvivere e accettando passivamente le cure. Robin sceglie di vivere, e di farlo nel modo più intenso possibile. 



Ciò che manca, però, è il chiaroscuro che aveva reso particolarmente intenso un altro biopic, La teoria del tutto. Il personaggio di Diana in particolare sembra poco sfumato. All’inizio è presentata come una bella ragazza, ma la sua personalità non emerge. Poi si rivela una donna devota e coraggiosa, capace di amare incondizionatamente. Ma l’assenza di cedimenti, se non qualche raro momento di fragilità, restringe il potenziale emotivo del personaggio. 

Di certo il film affronta questioni delicate, anche controverse (nel finale), ma vuole essere soprattutto una testimonianza, il racconto dell’esistenza di un uomo che ha cercato non solo di vivere con dignità e coraggio, ma ha aiutato le persone nelle sue stesse condizioni ad avere una speranza.