California, anni ’50. Gardner Lodge vive con la sua famiglia a Suburbicon, sobborgo cittadino di recente costruzione. Ha un lavoro, una bella casa, un’auto, il giardino, e una famiglia perfetta e amorevole, uscita rafforzata dopo l’incidente di Rose che l’ha costretta in carrozzina. Accanto a lei l’amato figlio e la sorella gemella, prodiga di attenzioni. La vita scorre serena e tranquilla fino all’arrivo in città dei Meyers, una coppia di colore che crea subito una certa indignazione tra le molte famiglie borghesi rigorosamente bianche. Ma al dramma si aggiunge una terribile violenza che innesca una serie di conseguenze.



Al terzo minuto, dai titoli di apertura fino al fine tratteggio della meravigliosa cittadina di Suburbicon, il nuovo film di George Clooney ci rimanda immediatamente ai fratelli Coen. E così è. Scritto proprio dalla formidabile coppia dei fratelli Lebovski, il film ci porta nel loro più classico, e irresistibile microcosmo, popolato dalle più ignobili contraddizioni umane. Suburbicon è il paese delle meraviglie, la sublime e patinata autorappresentazione del decennio perfetto, gli anni ’50, che hanno sospinto l’American way of life a modello culturale prevalente.



Poco fuori dalla città, nell’universo della mediocrità colorata a pastelli, cresceva indisturbata la borghese e pacifica esistenza dei bianchi, occupati nel nulla della cordiale messa in scena di sé e dei propri modelli di stucchevole conformismo. Immersa e plasmata nei più edificanti valori di massa, rassicurata dal frigorifero in cucina e dall’auto in giardino, la gente a Suburbicon conduceva la vita che aveva sempre sognato. Fino all’arrivo nefasto del male, nei panni inquietanti di una famiglia di “negri”, virulenti portatori di diversità.

In questo contesto disegnato a mano, Clooney intreccia la vita dell’amico Matt, occhialuto capofamiglia, campione di medietà e di controllo, con quella delle multiformi sorelle Moore, donne devotamente fedeli all’odio e all’amore. Dagli occhi increduli del piccolo ed espressivo Nicky, portatore sano di libertà, Clooney costruisce, come un bravo discepolo ben presto maturato, un’irresistibile commedia dark che pulsa davvero dell’ironico e grottesco sguardo dei Coen.



Puntellato di sorprese visive, di scene moderatamente orrorifiche e di sguardi fulminanti e allegorici sul passato che non passa mai, il film scorre piacevole per quasi due ore, lasciando lo spettatore divertito e affascinato, impegnato nella soluzione dell’efferato delitto, neppur tanto diabolico.

Classificato nel genere della commedia, al fianco di prevedibili cinepanettoni, Suburbicon sa ricordarci il pericolo dell’ottusa ignoranza che scorre abbondante nell’uomo, mai vaccinato contro l’avidità e la stupidità. Un film che risuona con mirabile tempismo nell’America trumpiana come pure, a ben vedere, nell’odierna sempre tragica italietta degli steccati d’interesse, travestiti di bene comune.

Così, mentre tutti guardano al male manifesto, additato dal mondo e amplificato dai media, cresce inesorabile il male, quello vero, umano, che sottrae vita alla comunità degli uomini, nascosto banalmente sotto al tappeto in soggiorno.