È giunto al termine l’esperimento televisivo, sociale e politico de La strada senza tasse, un docu-reality dal gusto nazionalpopolare e anche un po’ nazionalcomunista. Perché i temi messi sulla piazza – anzi, su una via del centro storico di Eboli – non sono poi troppo lontani da quelli cari alla rete. L’intento (non) dichiarato è quello di conciliare le teorie marxiste con ideologie nazionalistiche e indipendentistiche, il tutto in via sperimentale perché faciamus experimentum in corpore vili. D’altronde è notorio: a Eboli, persino Cristo preferì fermarsi; e no, non si dica che è banale.



La puntata ha inizio con la solita tiritera di Flavio Insinna. La sua premessa è una sorta di “istruzioni per l’uso” o bugiardino, che mette ben in chiaro controindicazioni, modalità e frequenza d’uso. Questa sera, in particolare, si va in onda in prima serata. E gli effetti indesiderati? Tutti quelli derivanti da una forma autarchica di governo, tanto per persuadere i disamorati che “le istituzioni servono”, e grazie tante. Si è citata l’autarchia, da non confondere con l’anarchia: autogoverno sì, autodisciplina no.



Gettate le premesse del programma (non di partito), è il momento di raccogliere le prime impressioni. Altro che Grande Fratello: il confessionale della Strada è tra i più infidi del piccolo schermo. Scopriamo così che gli inquilini sono fannulloni, disonesti e spesso e volentieri noncuranti rispetto alle regole. Soluzione? Ci vuole un rappresentante, qualcuno in grado di riportare l’ordine. Detto fatto: ecco i candidati.

Con le elezioni, però, viene meno il presupposto fondamentale: che ne è dell’indipendenza, dov’è andata la libertà? Ebbene – come volevasi dimostrare –, di un leader non si può proprio fare a meno.