È partito una settimana fa da Mortara, in provincia di Pavia, e oggi dovrebbe essere arrivato grosso modo ad Astana, la capitale del Kazakhstan. La destinazione finale è Chengdu. Stiamo parlando della Nuova Via della Seta su rotaia, inaugurata martedì 28 novembre con la partenza del primo treno diretto dall’Italia alla Cina. Un collegamento utilizzato esclusivamente per la movimentazione merci. Ma fonti accreditate riferiscono che una società cinese, la Pen Xi Lin (attiva nella fabbricazione di pensiline per carrozze ferroviarie), stia accarezzando l’idea di attivare un servizio Mortara-Chengdu-Mortara per soli pendolari. Funzionerà? In Cina ne sono convinti, forti della loro tecnologia – i treni laggiù viaggiano a levitazione magnetica e l’alta velocità, il nostro futuro, per loro è già passato (seppur prossimo) – e dei loro fatturati, in virtù dello sterminato bacino di utenti che si ritrovano. E da noi?
Vivendo in prima persona la dura vita dei pendolari, qualche dubbio lo nutriamo. Se analizziamo la situazione, il paragone non suona impietoso, è decisamente inesistente. A partire dai treni. Si cominci col dire che in Italia hanno preso questa precisa denominazione in quanto convenzionalmente viaggiano con almeno 3 minuti di ritardo. Probabilmente, se i minuti fossero stati 4, si sarebbero chiamati quattrini. Con una strategy innovation si potrebbero spostare in avanti di 3 minuti tutti gli orari di partenza di tutti i treni, ma in questo caso occorrerebbe inventarsi qualcosa di veramente rivoluzionario, perché altrimenti non si saprebbe più come chiamarli (i treni).
Non parliamo poi delle stazioni. Anzi, parliamone, ma non prima di avervi svelato l’ennesima curiosità lessicale: perché si chiama stazione? Semplice, perché da tempo immemore… staziona! Insomma, sta: impavida, imperterrita, impassibile, immobile.
Tecnicamente, le stazioni italiane si dividono in: spaziose, non spaziose, piccole. Le differenze, in metri quadri, sono davvero minime, tali da sfuggire all’occhio umano. In quelle più grandi c’è sempre (sarebbe opportuno dire: staziona) la classica edicola, dove è possibile reperire il Washington Post (abbastanza spesso), l’Asahi Shinbun (praticamente sempre, una sorta di portafortuna delle edicole delle stazioni), la Pravda (per quei tre nostalgici tre che ancora si commuovono all’ascolto dell’Internazionale, l’inno dell’ex Unione Sovietica, non della squadra di Milano), ma non il Corriere della Sera: venendo trasportato con il treno come un pendolare qualsiasi, quasi mai arriva puntuale in edicola.
In tutte le stazioni, di ogni ordine e grado, la biglietteria è d’uopo, così pure – grande segno di modernità “stazionaria” – la biglietteria automatica: si presenta come una specie di enorme bancomat presso il quale acquistare e stampare in tempo reale non solo il biglietto ordinario, ma anche quelli settimanale e mensile. Si badi bene che queste ultime due tipologie di ticket non indicano la durata dell’abbonamento, bensì il tempo che la macchina impiega per ottemperare alla richiesta del pendolare e stampare il relativo biglietto.
Un esempio chiarificatore. Poniamo di voler acquistare un settimanale da Mortara verso la ridente (quando gli abitanti sono contenti, se no, no) cittadina di Casalpusterlengo. Per farlo, occorre digitare sul display dell’enorme bancomat la località di destinazione. Queste emettitrici sono predisposte per un numero massimo di 12 caratteri, perciò la macchina non riconosce il suo forzato abbreviativo, “Casalpusterl”. Infatti… “Destinazione Sconosciuta”, appare sullo schermo. Eppure, quando meno ce lo si aspetta, la tecnologia viene in aiuto, provvedendo a fornire logiche (ovviamente per la macchina) alternative: Casalpalocco? Casale Monf.? Casal di Pr.? Casalbordino? Casalborgone? Casalbuono? Casalciprano, Casalduni? e via elencando di Casal in Casal l’intera Italia, dalle Alpi all’Etna. Nel frattempo, i diretti e i regionali annunciati e partiti stanno a indicare che in stazione il tempo, contrariamente a quanto si potrebbe desumere, non staziona, anzi, corre inesorabile come un Frecciarossa. Mentre invece è la macchina a stazionare inesorabile, snocciolando gli ultimi “Casal”. Più che altro, oblatera! E, non disponendo ancora di alcun biglietto, il pendolare è ben lontano dall’obliterare… Intanto la tensione sale, e alla voce “Casalbuttano?” il pendolare sbotta. Come una “pendola” a pressione. Ed è proprio in quel momento che, in stazione, tutti capiscono perché si chiamano “pendolari”…
(1 -continua. Alla prossima stazione, pardon, continua martedì prossimo…)