Smetto quando voglio – Masterclass è il (purtroppo) classico trucco di alcuni registi di prendere un buon film, il primo omonimo, e ripresentarlo come una minestra riscaldata per tentare di rifare il successo, economico ovviamente, del primo. Nella pellicola originale c’era un convincente Edoardo Leo che interpretava un ruolo che gli sembrava cucito addosso: quello di ricercatore universitario in continua necessità di denaro che mette su una banda, con amici fuoriusciti dal mondo universitario come lui, che usano la loro intelligenza per creare una nuova e legale droga da spacciare per tutta Roma. Adesso ritroviamo la vecchia banda dei ricercatori, con delle improbabili aggiunte al cast, con un’ancora più improbabile missione affidata loro dall’ispettore Paola Coletti: sgominare ben trenta produttori diversi di smart drugs per ottenere di nuovo la fedina penale pulita.



La costruzione del film ha del tragi-comico, perché il primo era una piccola opera d’arte, da cui giustamente si era ottenuto un grande successo, e si era concluso dopo una serie di colpi di scena in maniera ironica e, soprattutto, equilibrata. Il regista Sibilia ha dovuto quindi utilizzare ben trenta minuti iniziali del film per ripescare il finale del primo e compiere degli innesti con flashback, nuovi dialoghi e inquadrature diverse, per inserire quegli elementi, minimi ovviamente, per avere abbastanza margine per dare via alla nuova corsa verso il botteghino. Tra gli innesti ce ne sono alcuni che anche allo spettatore più disattento non potranno scappare inosservati, come quello in cui si vede Greta Scarano, la sopra citata ispettore, intervenire nell’interrogatorio fatto a Edoardo Leo nel primo film.



Visto che la trama è molto debole, si potrebbe dire proprio noiosa salvo rare eccezioni, Sibilia ha pensato di farcire la storia con nuovi personaggi che si rivelano però di fatto inutili in quanto generano confusione tra il pubblico che non si raccapezza più su quale ruolo ha ognuno. Questo accade da una parte perché sono poco caratterizzati e dall’altra perché non hanno un physique du rôle come quelli presenti nella squadra di Clooney in Ocean’s Eleven.

Ci si trascina dunque per oltre due ore per sapere se la banda riuscirà o meno nel suo intento per poi scoprire che tutto il film non era altro che il prequel di un successivo e terzo film che uscirà a breve.



È un vero peccato che un attore come Edoardo Leo si presti a questo genere di espedienti, perché aveva educato il suo pubblico a film intelligenti e realmente simpatici, come Loro chi? con Giallini e anche le sue ultime prestazioni come regista sono state tutte buone, come Che vuoi che sia?. Questa volta invece, anziché cimentarsi nel fare un’opera d’arte, da cui giustamente ottenere poi onore e gloria, ha pensato bene di tagliare per i prati e di preparare in poco tempo ben due film che non hanno la qualità del primo. 

In Smetto quando voglio del 2014 si poteva vedere descritto in maniera tagliente ma non pessimistica un problema reale, quello dei cervelli in fuga e della non valorizzazione dei giovani, e il pubblico si era trovato coinvolto nei tanti problemi presentati nella pellicola, avendo anche spunti positivi su come andare avanti. Tre anni dopo ritroviamo gli stessi giovani che hanno imparato fin troppo bene l’arte di arrangiarsi. 

Purtroppo di persone che cercano di rifilare le solite cianfrusaglie l’Italia è già piena e si avrebbe bisogno invece del primo Edoardo Leo, quello forse più ingenuo ma che di fronte alle avversità quotidiane sapeva trovare risposte forse strambe, ma perlomeno simpatiche e originali.