Irène Franchon è pneumologa all’Ospedale universitario di Brest, piccola e periferica cittadina della Bretagna, situata sulla costa occidentale francese. Nel 2009 scopre un legame tra l’assunzione del farmaco Mediator e la morte di alcuni suoi pazienti. Desiderosa di approfondire la questione e di preservare la salute delle persone di cui si prende affettuosamente cura, Irène spinge il team di ricerca dell’ospedale a studiare e dimostrare tale pericolosa coincidenza per spingere l’Agenzia francese del farmaco a ritirarlo dal mercato.



Alle evidenze empiriche, presentate dal volenteroso team bretone,  si contrappongono gli interessi del colosso farmaceutico Avim, che produce il farmaco da 30 anni, e la resistenza pregiudiziale del Sistema sanitario. Un caso di cronaca francese, scoppiato anche grazie al supporto coraggioso de Le Figaro, che ha avuto grande eco in tutto il mondo.



In mano americana la storia di Irène Frachon sarebbe diventata un thriller. Sarebbero stati amplificati gli eventi drammatici, le accuse mediatiche, le paure dei protagonisti, mentre l’intreccio si sarebbe piegato per accentuare l’enorme distanza tra i buoni e i cattivi. Con 150 milligrammi Emmanuelle Bercot ha scelto invece di attenersi alla realtà, raccontando solo quello che è stato, a partire dal libro a cui si ispira e dall’approfondita ricerca sui protagonisti della vicenda.

Il dramma c’è, così come le lacrime e le accuse esplicite, ma la storia non è costruita per piacere platealmente o forse, più semplicemente, non è alimentata dalla cultura spettacolare e coinvolgente del cinema americano, vista ad esempio in Erin Brockovich. 150 milligrammi è una storia, vera, di malasanità francese: poteri forti, pronti a insabbiare problemi e anomalie evidenti, pur di conservare un business proficuo, a danno di centinaia di vittime. È la storia di una battaglia contro un farmaco, ma è soprattutto la storia di una donna qualunque, capace di inseguire la verità. Spinta da passione, orgoglio, determinazione, lucidità, amore per il proprio mestiere e per i propri pazienti. Una donna coraggiosa, senza potere, né visibilità. Una donna che ha combattuto e vinto contro l’arroganza, l’avidità e la rassegnazione.



La Bercot racconta Irène Frachon con ammirazione. La racconta mentre trova faticosamente i suoi “modesti” alleati: colleghi di periferia, giovani ricercatori, liberi giornalisti, pallidi servitori del sistema. Pochi avrebbero scommesso su di loro. La racconta quando lavora nell’oscurità e quando si illumina di notorietà, quando si sente sconfitta e quando raccoglie i primi frutti della sua grinta inarrestabile, quando cerca il conforto della famiglia o lo scontro con chi dovrebbe sostenerla. C’è molta umanità in questo personaggio che Sisde Babett Knudsen interpreta con leggerezza ed essenzialità.

150 milligrammi è una storia così comune da essere eccezionale. Nel libro dei sogni quella che scopriamo sullo schermo dovrebbe essere la missione di ogni medico, di ogni casa farmaceutica, di ogni Stato, di ogni uomo. Ma non lo è mai, o quasi mai. Quel quasi è l’eccezione che rende la speranza possibile, seppur improbabile, e la storia di Irène un esempio per tutti.