Una storia improbabile è quella che viene raccontata nel film Un re allo sbando, come afferma lo stesso Duncan Lloyd, ex giornalista di guerra ora trasformato in una sorta di paparazzo di reali per necessità economiche. Lloyd ha l’ingrato dovere di riprendere il viaggio diplomatico che compie Nicolas III, il re del Belgio, in Turchia per congratularsi per la prossima entrata dello Stato nell’Unione europea. Il compito del paparazzo è vigilato dal severo controllo imposto da Ludovic Moreau, responsabile del protocollo del Palazzo Reale, e dalla bella Louise Vancraeyenest, responsabile dell’ufficio stampa del re.



Un’improvvisa insurrezione della Vallonia, la parte meridionale del Belgio, creerà un grande scompiglio nel regno di Nicolas III e, combinato con l’impossibilità di tornare in patria via aerea, a causa di una tempesta solare, lo porterà a prendere la coraggiosa decisione di attraversare l’Europa via terra e per di più scappando dalla sicurezza turca che non vuole concedergli il permesso di viaggiare per evitare uno scandalo diplomatico.



Una volta intrapresa una rocambolesca fuga da Istanbul, il gruppo guidato dall’annoiato re si trova in condizioni impreviste dove non valgono più le rigide regole dei protocolli del palazzo reale; ciascun membro del gruppo dovrà mettere in campo i propri talenti per attraversare territori impervi. Perfino Carlos, l’umile cameriere personale del re, avrà un ruolo crescente nel viaggio fino a diventare consigliere di Nicolas III di fronte alle tante problematiche affrontate.

Il paradosso misterioso che svela questa storia inizia così a essere percepito anche dal pubblico: man mano che le condizioni esterne dei nostri eroi peggiorano c’è come una ripresa della coscienza dei protagonisti. Questo risveglio del cuore si mostra in particolare nel re, interpretato da un convincente Peter Van de Begin: se all’inizio era un uomo ingessato, semplice burattino nelle mani del famoso protocollo, durante il viaggio si ridesta dal torpore che lo caratterizzava e riprende in mano la sua vita. Questo ridestarsi dell’io è suggerito in maniera delicata e sapiente dalle immagini del giornalista che durante tutto il percorso ci mostra con la sua telecamera sia le immagini ufficiali che quelle “rubate”, fotogrammi quindi che non sarebbero stati approvati dall’etichetta diplomatica. Grazie quindi alla telecamerina che si porta con sé Lloyd vediamo un re che si mette alla guida di un’ambulanza dell’anteguerra per attraversare la Bulgaria e che scoprirà così che nella guida, come nella vita, esistono altre marce oltre la prima.



Nicolas III durante il viaggio raccoglierà esperienze e pensieri per quello che lui ha deciso essere il suo primo vero discorso. Infatti, si convince che non appena sarà tornato nel suo Paese in subbuglio parlerà di fronte a tutto il popolo per ricondurlo sulla via della pace e dell’unità tenendo di persona un discorso che ha scritto lui e senza leggerlo da un foglietto che qualche addetto del palazzo gli ha messo in mano.

Le immagini che ci vengono mostrate non sono certo quelle che Moreau e Louise avevano concordato, perché tutto il viaggio è costellato di imprevisti, ma non possono fare a meno di notare che le assurde richieste della moglie del re si stanno esaudendo. Infatti, il re si mostra più vitale, è spontaneo e soprattutto sorride e riesce a mantenere sempre un buon clima tra la sgangherata compagnia. Proprio per questo il re riconoscerà che quel viaggio dove tutto appare arrabattato e buttato lì a caso è in realtà un dono del destino per fargli comprendere la responsabilità che ha come re di un popolo.

Tutta l’avventura è costellata da un’ironia intelligente e mai volgare che rende la pellicola godibile riuscendo nel difficile compito di “far crescere” lo spettatore con i protagonisti del film, senza fare sermoni, ma condividendo un cammino, che per quanto sia sembrato inizialmente assurdo si mostra sempre più reale, oltre che regale, perché fa riscoprire ai viaggiatori l’immensa e nascosta vitalità che si cela anche dietro a uomini-protocollo, come sempre più spesso se ne vedono in giro.

La sfida che lanciano i registi Bronsens e Woodworth sembra quindi quello di iniziare un cammino partendo senza troppo pensare a quel che si ha addosso, senza regole, alla scoperta reale del mondo che ci circonda e che spesso copriamo con i nostri pregiudizi. Perché farlo si potrebbe obiettare? Sicuramente perché è invidiabile poter affermare con certezza le stesse parole che l’ex burattino Nicolas III pronuncia alla fine del suo spericolato viaggio per mezza Europa per tornare a casa, dal suo popolo.