Fino a ieri l’altro, ci avessero chiesto, anche a bruciapelo, il nome del paese più felice al mondo, senza alcuna esitazione avremmo risposto: ma è il Bhutan! E qualora ci avessero messo alle strette, altrettanto repentinamente avremmo puntualizzato: laggiù (o meglio, lassù, visto che il piccolo Paese asiatico è incastonato tra le cime innevate dell’Himalaya) non si Bhutan mai giù di morale! Insomma, era una certezza granitica, il Bhutan! Convinzione corroborata dal governo locale, che si è addirittura inventato il FIL – un metodo di calcolo per misurare la Felicità Interna Lorda – indicatore che tuttavia non ha mai convinto del tutto gli economisti più tradizionalisti, custodi dell’inviolabile sacralità del PIL (Prodotto Interno Lordo): a loro parere, il FIL altro non è che una “bhutanata pazzesca!”.



Ma anche a non voler bhutar via il Bhutan, siamo perlomeno costretti ad accantonarlo. Perché il paese più felice al mondo è la Norvegia! A premiarla è il rapporto dell’Onu “World Happiness Report 2017”. Ma che cosa ci sarà mai di così incredibilmente bello, di così grandemente appagante e di così smodatamente allegro da aver reso il Paese scandinavo il più felice al mondo? Gli incontrovertibili dati onusiani parlano chiaro: laggiù (o lassù, dato che siamo nordicamente vicini al Circolo polare artico) a rendere spensierati i norvegesi è la macchina burocratica: leggera, efficiente, disponibile. Brutta notizia, alla luce del fatto che il suddetto indicatore taglia automaticamente fuori il nostro Paese (l’Italia è solo 58esima, preceduta addirittura dall’ilare e spensierato Uzbekistan…).



Sarà mica solo per la burocrazia, però… “Che sarà?” canterebbe José Feliciano, se solo lo interpellassimo. Sarà il clima? “Escucha, yo hago las preguntas aquí” (“Scusa, sono io che faccio le domande qui”), ci ha risposto da San Juan di Portorico il vecchio José. Perciò abbiamo dovuto ricorrere al nostro amico Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché le ha rubacchiate di fiordo in fiordo in giro per la Scandinavia. Sempre felice di risponderci, ha così sentenziato: “La Norvegia ha un clima particolare, perché è un Paese nordico affacciato su un mare attraversato da una corrente calda, la Corrente del Golfo. Per questo è meno freddo di quanto si pensi”. Bene, gli abbiamo detto. “Eh no, bene una cippa! – ha ribattuto lo Zinga – Qui casca l’asino, o meglio la pioggia, se non addirittura la neve. Prendete Bergen, la seconda città norvegese: vi cade spesso una pioggerella insidiosa e gelida, in media 2.200 millimetri di pioggia o neve all’anno, che nelle località limitrofe, con le alture alle spalle, supera anche i 3mila millimetri”. Tre metri d’acqua, ombrello sempre in mano e nuvole un giorno sì e l’altro pure? Ma che divertimento c’è? “Quello di non abitare in Lapponia”, ha chiosato lo Zinga. “Qui d’inverno le temperature possono scendere fino a -50 gradi”. Con tutte queste precipitazioni noi siamo già precipitati nello sconforto più cupo.



In Norvegia è abitudine consolidata aprire le finestre (unico Paese al mondo in cui si spalancano verso l’esterno, la Norvegia detiene il record di vasi di fiori caduti sulla testa dei passanti…) per vedere che tempo che fa (il meteo, Fabio Fazio per fortuna non ce l’hanno). Bene, nel 99,9% dei casi piove o nevica. Che fare, se non accendere la televisione o ascoltare la radio? Maestri e inventori della slow tv, che ha saputo catturare con la sua esasperante lentezza (almeno per noi mediterranei) un pubblico davvero eterogeneo. Che si entusiasma per “Capitan Uncinetto”, show del venerdì sera imperniato sulla realizzazione di un maglione ai ferri in tempo reale; che arriva a picchi d’ascolto impensabili per “ConverStazioni”, cronaca della conversazione quotidiana di due filosofi che parlano di attualità sulla tratta ferroviaria Oslo-Bergen (10 ore di viaggio, e spesso la replica serale delle 20 ha un’audience maggiore della diretta); che vive come appuntamento imperdibile il programma sportivo radiofonico “Tutto il biathlon minuto per minuto”.

A rendere felici i norvegesi sarà forse la cucina? Immaginiamo un qualsiasi Harald (nome assai comune da quelle parti), otto ore tutti i giorni a manovrare lo spazzaneve per liberare le strade di Oslo. Dopo una giornata di duro lavoro si meriterebbe una cena… coi fiocchi. Ma cosa trova, stanco e affamato sulla tavola imbandita della sua allegra magione? Salmone affumicato, aringhe affumicate, patate e una bella fetta di brunost, il formaggio che sa di caramello.

Concludendo: clima uggioso, programmi radio-tv noiosi e monotonia culinaria possono fare la felicità? Forse la sanno più lunga di tutti Al Bano e Romina. Intervistati dalla tv di Stato norvegese, parafrasando il testo di un loro brano di successo, hanno risposto cantando: “Felicità / è un po’ di formaggio, ne basta un assaggio ma di qualità / È la pioggia che scende dietro le tende, la felicità / È girare per fiordi intabarrati e concordi la felicità, felicità, felicità…”.