Mark Renton, dopo essersi liberato dall’eroina verso la fine degli anni ’80, ha provato a vivere una vita normale. Oggi, vent’anni più tardi, il suo tentativo sembra naufragato. Decide così di tornare a Edimburgo, la città nella quale era disceso nell’inferno della tossicodipendenza insieme a un gruppo di amici disperati, che un giorno decise di abbandonare e derubare. Di nuovo in città, proverà a riconciliarsi con essi e a ritrovare la fiducia perduta, superando il rancore ancora vivo nel loro cuore. Tra ricordi e nuovi progetti, il gruppo tornerà insieme, legato indissolubilmente da un passato che li ha segnati nel profondo.



Trainspotting è un film che ha fatto storia. Eravamo alla fine degli anni ’90. Boyle veniva dal successo inaspettato di Piccoli omicidi tra amici. Ewan McGregor era alla sua prima interpretazione che lo avrebbe lanciato nell’Olimpo degli attori internazionali. Il film proponeva un mix sconvolgente di comicità, dramma e provocazione. Mentre una generazione di tossicodipendenti bruciava la propria vita e il proprio futuro, Trainspotting mostrava la folle leggerezza di un gruppo di sbandati, alle prese con la difficile vita nella grigia Edimburgo.



Da qui nasce T2 Trainspotting. Nasce dopo diversi ripensamenti che rivelano la perplessità degli autori di misurarsi con il seguito di un film culto della cinematografia britannica. T2 avrebbe dovuto riprodurre la magia del primo, far leva sulla regia inaspettata, sull’ironia strabordante, sulla provocazione ai limiti dell’accettabile, sulla musica memorabile e sulle facce da schiaffi dei quattro protagonisti, rivisti a distanza di tempo, con alle spalle due decenni di carriera e una nuova storia da raccontare.

T2 prende ispirazione dal libro di Irvine Welsh “Porno”, autore anche del primo episodio “Trainspotting”, ma si lascia poi catturare dall’irrefrenabile tentazione di guardare al passato come a un’ossessione. Costantemente aggrappato ai fatti di allora, T2 non trova così una propria personalità, pur evidenziando una brillante creatività registica che rende Boyle un regista a suo modo sempre degno di nota.



I personaggi, coinvolti in un’atmosfera da “rimpatriata” che non giova al film, non sono lo scandalo disperato e adolescenziale del primo capitolo, ma solo la loro copia malinconica e macchiettistica. Indossate da adulti, le loro storie perdono il valore di denuncia che aveva colpito il mondo alla fine degli anni ’90, e si trasformano oggi in una sceneggiatura poco originale e schiava del passato. Lo spettacolo registico sovrasta lo scenario sociale. La battuta comica perde la sua sferzante drammaticità. La violenza si trasforma in squallido esercizio d’eccesso, risultando persino fastidiosa, nel suo racconto immaginario di vendetta e oppressione.

Mark Renton “Rent” torna, per riconciliarsi con il passato, senza avere nulla di davvero importante o credibile da dire. Simon “Sick boy” combatte la droga e ancora la vita, sospeso tra vendetta e perdono, spuntato senza il fascino distruttivo del passato. Daniel “Spud” è solo la goffa caricatura del suo essere in ritardo, sulla vita e sul gruppo. Francis Begbie “Franco” è cattivo, più di prima, caricato di assurdo fino a sembrare un personaggio dei fumetti.

Sono qui per tornare a essere se stessi, suscitando pena, sdegno, riflessione. Ma l’operazione non riesce: T2 non funziona. La sua voglia di essere all’altezza, la sua riverenza verso quello che è stato, il suo bisogno di essere diverso lo rendono un prodotto sospeso, incerto e trascurabile. Una commedia virtuosa che affonda le grida disperate di un capolavoro del passato. Un episodio minore, che non produce magia, né intacca la storia. Un film psichedelico che, purtroppo, non puzza di periferia.