Wilkström è un rappresentante di camicie, sposato e senza figli, grigiamente affondato nella routine quotidiana. Un giorno decide di lasciare tutto e “investe” coraggiosamente i suoi risparmi in una partita di poker, scommettendo su di un nuovo progetto di vita. Con i soldi guadagnati, Wilkström sceglie di rilanciare un ristorante, “La pinta dorata”, che sembra aver voluto rilevare più per caso che per vocazione. Popolato da improbabili dipendenti, il ristorante sarà anche la “promettente” destinazione di Khaled, profugo siriano in fuga dalla guerra. È qui che, scampato alle larghe maglie di una legge che non vuol vedere e alla violenza minacciosa di un gruppo di aggressivi razzisti locali, troverà la speranza per crearsi una nuova vita.
Immigrazione, terrorismo, crisi. Temi rilevanti della contemporaneità, racchiusi nel film L’altro volto della speranza, una storia semplice che prova a far riflettere attraverso il sorriso. Aki Kaurismäki ammette esplicitamente di voler manipolare le emozioni dello spettatore, per modificare la sua percezione nei confronti del tema e la strategia, dal punto di vista comunicativo, rischia di funzionare.
Il discorso attorno agli immigrati oggi, soprattutto in Italia, si colora necessariamente di ideologia, portando a divisioni, polarizzando i punti di vista e allontanando inevitabilmente una possibile sintesi conciliativa. L’immigrato è la vittima che richiede compassione o al contrario l’arrogante invasore, che ruba il lavoro, la vita, la tranquillità. L’immigrato diventa così il campo di battaglia per visioni contrapposte della realtà, basate su etichette che dimenticano troppo spesso le storie di chi vive.
L’altro volto della speranza è un film militante pur senza esserlo. Un film che nasconde il punto di vista del regista per far emergere solo e soltanto la storia di uomini coraggiosi, accomunati dalla volontà di cambiare vita. Per Wilkström è una vita da rivoluzionare. Per Khaled è una vita da inventare. Entrambi non sono eroi, non hanno virtù speciali e non cercano il cuore dello spettatore. Wilkström, dilaniato dalla routine, abbandona la moglie, scommettendo il suo futuro e, per cambiare, si inventa ristoratore, rivelando un intuito bizzarro, difettoso ma tutto sommato concreto. Khaled è sopravvissuto alla morte, ma ha lasciato dietro a sé il carico pesante di paure e frustrazioni. Emerge dalla fuliggine e, scampando a razzismi e polizia, si inventa cameriere tuttofare, rivelando pazienza e capacità di adattamento. Cambiare si può, e il vantaggio è reciproco.
Il racconto leggero aggira il pregiudizio per rendersi credibile e, mentre il dramma cede il passo al sorriso, si sforza di “passare” simpatia, da dare in pasto al popolo “bue” che può assorbire, senza fare domande scomode. Il risultato è una commedia stilisticamente originale, emotivamente positiva e moderatamente riflessiva. Una pillola, discreta e gentile, di cambiamento. Un film dalla forte personalità che usa il grottesco per emergere dal coro, grazie a una regia, e a una galleria di personaggi inquietanti, che sa distinguersi senza l’uso di lacrimevoli tragedie o di facili moralismi.