Spaccanapoli Times non è solo uno spettacolo, è l’apoteosi delle emozioni, l’apoteosi dell’inverosimile che diventa realtà. Ruggero Cappuccio, autore del testo, e attore in scena, ha creato un connubio perfetto tra realtà e “finta realtà”.

Una famiglia riunita proprio dal fratello maggiore, Giuseppe Acquaviva (Ruggero Cappuccio) nella casa paterna, sullo sfondo della scena infinite bottiglie di acqua, di annate differenti, come a voler testimoniare la trasgressione rispetto alle annate comuni, quali vino o grappa. Il cognome non è casuale, a mio giudizio. Un poeta, Giuseppe, che ha scelto di vivere come clochard tra il binario 8 ed il binario 9 della Stazione Centrale di Napoli, un uomo risoluto, intelligente, scaltro e colto, che sceglie di scavare nelle anime dei suoi fratelli con un pretesto: “L’infermità mentale da parte dell’Inps”. Lui, da uomo saggio e colto sa, che tutto questo in Italia oggi è carta straccia, ma cerca comunque per vie traverse l’appoggio dei fratelli, Gennara (Marina Sorrenti) Gabriella (Gea Martire) e Romualdo (Giovanni Esposito) che si ritrovano, chi da Napoli stessa passando per i ricordi di Spaccanapoli e chi da Palermo, a rivivere le stesse stranezze di molti anni fa. Romualdo, interpretato da un magistrale Giovanni Esposito, è un pittore matto pieno di talento che non riesce mai a raggiungere la fine dei suoi dipinti, e quando arriva a farlo, li strappa senza mezzi termini, come a voler distruggere un operato per lui troppo significativo. Gennara, ha perso suo marito e continua a vedere lo spirito del suo defunto ogni notte, Gabriella, circondata da molti uomini, continua il suo erotismo su Fabrizio, lasciato 18 anni prima. Una famiglia tanto strampalata, quanto assolutamente normale, con Giuseppe che ne tiene i fili psicologici come farebbe Mangiafuoco con le sue marionette. Una giornata in quella casa, è interminabile, perché ad ogni quarto d’ora tutti si chiedono “CHE ORA È ?” i loro orologi non coincidono mai, ed ognuno ci riporta, a noi pubblico, ad essere sempre molti minuti indietro rispetto alla scena. Ritengo questa una genialità artistica senza paragoni. Giuseppe altro non voleva che dimostrare ai suoi fratelli, che non occorre una pensione se noi stessi non riusciamo ad essere ciò che abbiamo scelto, sia per condizioni fisiche o economiche , sia per scelta, ci ritroviamo a scegliere vite parallele o perpendicolari alla nostra esistenza. L’infelicità, secondo lui ci aiuta a vivere, e lo comprendiamo alla fine, quando tutti, come lui, scelgono di seguirlo nella realtà delle emozioni, senza apparenze.



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