Oggi è una giornata cruciale per i destini di Alitalia: l’assemblea dei soci è chiamata a deliberare sulla scelta dei commissari. Per la nostra compagnia di bandiera, che proprio 70 anni fa spiccava il primo volo (un Torino-Roma-Catania) sembra arrivato l’ultimo viaggio, o meglio l’ultimo atterraggio. Oberata di debiti e dopo il no dei dipendenti al piano di salvataggio, la società è infatti avviata verso il fallimento. Neppure gli arabi di Etihad, che detengono il 49% del capitale, sono riusciti a risollevarla. Erano stati accolti con entusiasmo nel 2014, al grido di “Alì taglia!”, ma tre anni dopo hanno dovuto gettare la spugna anche gli emiratini (aggettivo che vi consigliamo di usare in questi giorni a cena con gli amici oppure a pranzo in ufficio: certo non servirà per salvare la nostra compagnia di bandiera, ma vuoi mettere che sfoggio di cultura?). 



Scartata l’ipotesi della nazionalizzazione, sul tavolo resta la flebile speranza di uno sposalizio (in tempi dove i matrimoni peraltro sono in ribasso) con Lufthansa. I tedeschi, però, presi da una certa lufth…ansia davanti ai debiti, alle perdite e alla pletora di piloti, hostess, steward e dipendenti vari, hanno finora declinato l’invito. Anzi, attendono carognescamente il fallimento, così da portarsi a casa Alitalia senza scucire un euro. Apprestiamoci dunque a un mesto, seppur inevitabile finale. A meno che qualcuno non estragga dal cilindro soluzioni praticabili, alternative che al momento appaiono… mooolto alternative, così alternative che sembrerebbero non essercene proprio, di alternative!



A suffragio di quanto sopra, i maggiori soci italiani, a partire dalle due più importanti banche nazionali, cioè UniCredit e Intesa Sanpaolo, tenendo fede alle loro denominazioni, hanno trovato rapidamente un’intesa per non mettere neppure un euro di credit. E anche gli altri componenti della Cai (Compagnia aerea italiana, qui il Club alpino italiano non c’entra nulla, seppure scalare Alitalia in questo momento sembra un’impresa assai ardua) sono intenzionati a fare lo stesso. Noi invece, che amiamo il Paese che ha dato i natali a Domenico Modugno (“Volare oh oh…”) e siamo per natura clochard (cioè appassionati di apparecchi con la cloche), non ci arrendiamo e, rispolverando un vecchio manuale di crisis management dal titolo “Nei momenti di tempesta meglio volare basso”, avanziamo una serie di ricette utili a rimettere in pista Alitalia. Possibile? A voi il giudizio! 



Spuntare le ali. Si è sempre sostenuto che la redditività di una compagnia aerea derivi soprattutto dalla capacità di coprire i voli intercontinentali. Punto debole di Alitalia, troppo concentrata sulle rotte a corto raggio. Perché allora non trasformare una debolezza in un punto di forza? Ecco l’idea: tagliare le ali a tutti gli Airbus della compagnia, trasformandoli in… super-bus. Proprio così: capacissimi e comodissimi pullman attraverso i quali gestire le tratte particolarmente congestionate. Come la Venezia-Mestre o la Tangenziale Est di Milano o ancora il Grande Raccordo Anulare a Roma. A volerci fare sopra due conti, un Boeing 777 300ER trasporta quasi 400 passeggeri, vale a dire l’equivalente di otto pullman da crociera. Perciò, la diversificazione nel trasporto pubblico locale conviene: più passeggeri rispetto alle normali autolinee, ma anche maggiori risparmi sulle spese di carburante che far volare un aereo.

Appalto pulizie ad Air Maroc. Anche sul fronte dei servizi di handling, il complesso delle operazioni per l’assistenza a terra agli aerei e ai passeggeri, durante la sosta negli aeroporti, Alitalia ha sempre speso in eccesso, e comunque ben più della concorrenza. Non sarebbe più intelligente firmare accordi in outsourcing con operatori specializzati in grado di fornire prestazioni meno costose? Perché non pensare, per esempio, ad Air Maroc per l’appalto della pulizia dei vetri della cabina di pilotaggio? I marocchini sono (dati italiani alla mano) i migliori in questa attività, con tempistiche ottimali ed elevati standard qualitativi: è noto che nel tempo di una sosta al semaforo riescono a fare cose egregie. I costi? Ridicoli, potremmo definirli… da mancia!

Bagaglio a mano? Meglio fare a meno del bagaglio. Si parta da un dato di fatto pressoché acclarato: Alitalia non brilla nemmeno per quanto riguarda il danneggiamento e lo smarrimento dei bagagli. Ben il 16% di chi ha volato con la compagnia ha avuto un problema con la valigia, e addirittura il 33% ne ha avuti più d’uno. Sconcertante persino quel 18% che, dopo l’atterraggio, al momento del ritiro dei propri bagagli, si è sentito rispondere: “Perché lei aveva pure seco una valigia?”. Meglio allora tagliare la testa al toro: anziché il bagaglio a mano, che rischia di rovinarsi se non di andare perduto, si adotti la strategia del “bagaglio a meno”. Ovverosia far volare i passeggeri facendo a meno di inutili e ingombranti orpelli da viaggio. Basterebbe un semplice beauty, che potremmo battezzare (con doverose royalties a nostro merito sul copyright) necessair. Che come dice la parola: in poco spazio hai tutto quel che serve (necess) per il volo (air). Così si risparmia pure sul costo del biglietto e si ha la possibilità di aggiungere passeggeri creando una popular class, con clienti da stipare nella (ex) stiva, a prezzi davvero low cost!