Dopo To the Wonder (2012) e Knight of Cups (2015) giunge a conclusione con Song to Song – già noto con i titoli di lavorazione Lawless e Weightless – il “trittico senza sceneggiatura” fiorito nella filmografia di Terrence Malick successivamente all’opera-mondo The Tree of Life (2011) e in attesa di un ritorno (per sua stessa ammissione) a un cinema più narrativo con Radegund, attualmente in fase di montaggio. Ma che cosa “tiene” oggi (e resterà domani) di questi personalissimi (e personalistici, filosoficamente parlando) brani lirici audiovisivi di (corpi e) anime in viaggio su questa terra, che mai sapremo quanto davvero in bilico tra esperienza esistenziale e speculazione filosofica del proprio autore? Al di là delle estasi o dei disagi di visione e interpretazione di questi fotogrammi in movimento e dei consensi o delle perplessità in relazione ai tentativi di analisi delle intenzioni su carta e della resa su grande schermo, vengono alla mente le prime parole di Rilke al momento dell’incontro con l’opera (e lo sguardo) di Cézanne: «Tutta la realtà è lì, dalla sua parte». Punto. Rispetto ai primi due, quest’ultimo “capitolo” è comunque caratterizzato da una mescolanza di dinamiche non solo affettive, ma anche di potere che lo fanno volentieri accostare alla riflessione già tentata dal più “politico” Eyes Wide Shut kubrickiano. Qualcosa ci dice che verrà un tempo (ma forse è già così) in cui questa specifica sezione del corpus malickiano sarà guardata alla stregua del Paradžanov pittorico e visionario o del Rossellini televisivo e didattico.



LA TRAMA – Austin, Texas. Fin da subito si è messi a contatto con il popolo dei concerti e il mondo della musica live locali. Una voce femminile ci accoglie nel film: è quella dell’inquieta Faye (Rooney Mara), un’aspirante cantautrice in cerca della “grande occasione” che vuole «disperatamente vivere qualcosa di vero» e per la quale «qualunque esperienza è meglio di nessuna esperienza». BV (Ryan Gosling) è invece un giovane dalle nobili idee («Dobbiamo aiutare la gente elevando il loro cuore»), già alle soglie del successo discografico, ma reso altrettanto instabile da un rovello interiore. L’affermato produttore Cook (Michael Fassbender) è il compagno (manipolatore) della prima e il manager (senza scrupoli) del secondo (che chiama «fratello»). Almeno fino a quando Faye e BV non si innamorano l’una dell’altro e a questo punto l’uomo decide di rompere (anche professionalmente, per una brutta vicenda di copyright) con Cook, il quale dirige allora le sue attenzioni di uomo dissoluto abituato a vivere senza regole e senza inibizioni – e comunque uomo e non “astorico” villain shakespeariano: «Hanno una bellezza nella loro vita che mi rende repellente… una gioia», dice della coppia che viveva ancora sotto il suo giogo – verso una cameriera dalla vita problematica di nome Rhonda (Natalie Portman). Ma nonostante il matrimonio che di lì a poco li unisce, per loro il dramma è dietro l’angolo, mentre anche Faye e BV attraversano diversi alti e bassi, in bilico tra amore e tradimento, salvezza e distruzione…



IL FILM – Dei probabili motivi del ventennale silenzio cinematografico di Terrence Malick a partire dalla fine degli anni Settanta ci restano rarissime voci. Una di queste è quella della sua prima moglie, Jill Jakes: «[a] Hollywood tu pratichi il tuo lavoro a un tale costo per la tua anima, per qualsiasi spiritualità tu abbia. Terry l’ha sopportato per due film [La rabbia giovane (Badlands, 1973) e I giorni del cielo (Days of Heaven, 1978), ndr], ma deve avere sentito che stava pagando un alto prezzo per quanto riguarda l’essere una persona buona o una persona pura». Una testimonianza che forse dice parecchio di come andrebbe affrontata l’analisi del trittico non basato su alcuna sceneggiatura finalmente costituito da To the Wonder, Knight of Cups e Song to Song. Uno dei “padri” della letteratura statunitense, Henry David Thoreau, pubblicò il fondamentale “Walden. La vita nei boschi” nel 1854 anche se la stesura risaliva a diversi anni prima. È infatti il racconto di un’esperienza che egli visse nel 1845 quando andò a vivere per un anno e mezzo in una piccola casa di legno da lui stesso costruita sulle rive del lago Walden (vicino a Concord, in Massachusetts) per cercare la giusta distanza dalla società in cui viveva, che considerava mercantilistica, solo attenta a trarre un utile dalle proprie attività e mai tesa alle cose realmente fondamentali della vita. Come Thoreau, Malick ha atteso un bel po’ di tempo per provare a narrarci (?) di quegli anni di ritiro dal mondo del cinema nel quale era entrato trentenne con una laurea in filosofia con un lavoro sull’epistemologia in “Essere e tempo” di Martin Heidegger sotto la guida di Stanley Cavell. In questa storia di corpi e anime (a dire il vero più corpi che anime, almeno a confronto con i due titoli precedenti), ecco presentati dei giovani che – per dirla con Faye – vogliono vivere, cantare la loro canzone, «vivere di canzone in canzone, di bacio in bacio», timorosi del fatto che l’amore li possa consumare e che infine paiono lasciarsi annientare da un rapporto di amore/potere con un personaggio dal nefasto ascendente come Cook, il quale non tarda a ricordare loro che «il mondo vuole essere ingannato».



Ma le indelebili urgenze interiori di ciascuno troveranno in Faye e BV un finale forse scontato, ma non per questo meno umano e veritiero, in una commovente progressione: «Vieni a salvarmi dal mio cuore malvagio. […] Mi sono ribellata alla bontà. […] Devi sacrificare qualcosa. […] C’è qualcosa che vuole essere trovato da noi? […] Ho giocato con la fiamma della vita. […] Era come un nuovo Paradiso: il perdono. […] Misericordia era una parola. Non credevo di averne bisogno. […] Non voglio che niente si metta tra di noi. Questo. Solo questo» è il cammino di Faye, accompagnato da quello, parallelo, di BV: «Devo tornare a ricominciare da capo, come un bambino. Non avevo il cuore giusto in me».