Con un ciclopico rutto liberatorio, quella mattina, alle ore 4 e 12 minuti, vale a dire ben due ore prima del suono della sveglia, il ragionier Ugo Fantozzi si alzò di umore discreto, nonostante una notte insonne a causa dell’ossessivo e roboante rumoreggiare del suo vicino di casa, campione mondiale di consumo di straripanti piatti a base di fagioli. Effettuati i due piegamenti due per sgranchirsi le gambe e procurarsi il classico “colpo della strega del ragioniere”, si precipitò in cucina dove la moglie Pina era già intenta a preparargli il famigerato “caffè della Pepina”, intruglio pepatissimo, nerissimo e bollentissimo a 1.200 gradi Fahrenheit, che ingurgitò tutto d’un fiato senza fare una piega, alla stregua di una vodka ghiacciata. Nonostante fosse un afoso 11 luglio 1982, Fantozzi si vestì stile settimana bianca: orribile cappello con pon pon anni Trenta, sciarpone tricolore, canottiera con la scritta ORIALI sulla schiena vergata di sua mano consumando un’intera Bic nera, maglia di lana pesante azzurra, pantaloni di velluto bianchi, bandierone dell’Italia. Salutò la moglie e a tre gradoni alla volta scese i sette piani di scale.
Che cosa rendeva il ragionier Fantozzi così felice e spensierato? Altro non poteva essere che il grande evento della serata: la finale del Mundial tra Italia e Germania. Fantozzi aveva prenotato fin dalla vittoriosa partita con il Brasile un posto in prima fila al bar all’angolo. Si infilò nella sua Bianchina e dopo tre ore di tragitto arrivò puntuale alla Megaditta, per uno straordinario domenicale (molti come lui dovevano recuperare la giornata di ferie presa in corrispondenza della semifinale con la Polonia). “Meglio parcheggiare fuori dal piazzale, così stasera dribblerò i miei colleghi e mi fionderò al bar con largo anticipo”. Così abbandonò la sua utilitaria in una zona dove mai gli era capitato di posteggiare e quando si accorse del cartello “Divieto di sosta”, al solo pensiero della finale urlò: “Ma chi se ne frega!” e con passo imperiale si diresse verso l’ufficio.
Trascorse la solita giornata di angherie e soprusi, vessato pure dal ragionier Filini che, non ricordandosi della finale, aveva organizzato per il tardo pomeriggio un’avvincente gita fuori porta in canoa, nonostante tutti ignorassero, Filini compreso, l’esistenza di una superficie lacustre o fluviale nei paraggi.
Un minuto prima di timbrare il cartellino, dai 250 megafoni dislocati nella Megaditta giunse la voce angelica del Megadirettore Galattico: “Care maestranze, oggi è un giorno importante: l’Italia calcistica si gioca il titolo di campione del mondo contro la Germania. Siete tutti invitati nel mio megastudio per assistere all’evento. L’invito è libero e chi non dovesse aderire domattina troverà sulla scrivania una cortese lettera di licenziamento”.
Per Fantozzi fu come ricevere un pugno nello stomaco. Ancora sotto choc, arrivò agli ascensori già stracolmi di dipendenti come la metropolitana di Tokyo nelle ore di punta, e per non arrivare ultimo (il che avrebbe significato un taglio secco dello stipendio) si catapultò verso le scale salendo a perdifiato i 34 piani che lo separavano dal megaufficio del Megadirettore.
Fantozzi entrò di corsa. Fu avvolto in un’accecante luce bianca. A fatica intravide un megaschermo da 220 pollici che campeggiava sulla parete opposta. Poco sotto, la megapoltrona in pelle umana del Megadirettore. E in piedi, accalcati, ai lati di un megatavolo lungo 118 metri, in mogano intarsiato a mano, tutti i suoi colleghi già schierati.
Della partita riuscì a vedere ben poco. Al minuto 25 del primo tempo si sentì un boato: “Rigore per l’Italia!”. Fantozzi scattò in piedi gridando: “Scommetto 5 milioni che facciamo gol alla sinistra del portiere!”. Gli rispose con voce celestiale il Megadirettore Galattico: “E io ne rilancio 50 di milioni che invece il penalty lo sbagliamo: ci sta ragioniere?”. Fantozzi, aduso a migliaia di sfide tra scapoli e ammogliati sui campetti di provincia, si riteneva infallibile nelle previsioni sportive e accettò. Le cose andarono come andarono (per la cronaca, Cabrini sbagliò il tiro dal dischetto). Il Megadirettore lo consolò con parole sublimi: “Vede, caro Fantocci, perché i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Voi indigenti, per pura invidia, accettate sfide che non potete affrontare, al solo pensiero di poter accumulare con avidità e ingordigia beni e ricchezze altrui. Ma sarò clemente con lei: potrà ripagare i suoi 50 milioni di debito in comode rate orarie da 50mila lire cadauna”.
Alla fine del primo tempo sulla porta apparve la signorina Silvani. “Ragionier Fantozzi, proprio lei cercavo! Ho visto che ha parcheggiato fuori dai cancelli, peccato per la multa. Gliel’ho portata. Ma il punto è un altro: ho bisogno che lei mi accompagni da mia madre, ricoverata in ospedale. È urgente!”. “Ma io veramente… la partita… l’Italia…”. “Non mi dica che anche lei è appassionato di calcio? (con tono suadente e muovendo sensualmente le labbra) Su, lo facci per me…”. E Fantozzi: “Sappi, signorina Silvani, che per me il calcio è una cagata pazzesca! L’accompagno volentieri!”.
Così Fantozzi portò la Silvani all’ospedale (in realtà andava a incontrare segretamente il suo amante, il geometra Calboni, che si era fatto sostituire nel megastudio del Megadirettore da un cugino, a lui somigliante come una goccia d’acqua), rimanendo rintanato nella sua Bianchina quasi un’ora, sotto un’acqua battente scatenata dalla classica “nuvoletta da impiegato” e senza poter ascoltare la radiocronaca. Riaccompagnò tristemente a casa la Silvani, poi si fiondò nel primo locale aperto. “Circolo SS Monaco” indicava la scritta. “Bene, un locale parrocchiale: staranno sicuramente vedendo la partita”. Entrò, ignaro del risultato (3-0 per gli azzurri) proprio nel momento in cui Breitner realizzò il gol della bandiera per la Germania. In preda alla collera, dal tavolino impugnò un posacenere a forma di doppio wurstel e li scagliò (posacenere e tavolino) contro il televisore, imprecando come una belva contro i tedeschi tutti, insultando la Volkswagen, Goethe, Wagner e figli delle mamme valchirie compresi. Non sapeva di essere finito in un locale di ex simpatizzanti nazisti.
La moglie Pina e la figlia Mariangela lo aspettarono a lungo. Il Megadirettore Galattico, spazientitosi per il mancato incasso delle prime rate orarie della scommessa, recapitò sul tavolo di “Fantozzi Rag. Ugo” una lettera di licenziamento con decorrenza immediata. Accanto c’era un biglietto del ragionier Filini: “11 luglio 1982, CAMPIONI DEL MONDO! Rag. Fantozzi, venghi a festeggiare con noi in canoa!”.