“Pulp fiction”, traducendo dallo slang americano “storia finta con crimini orrendi, violenze efferate e brutalità”. Pulp, letteralmente polpa, in America è un genere letterario che trasuda di questa violenza. E questa violenza è quella che traspare abbondante nell’omonimo film di Quentin Tarantino, per molti invedibile proprio per questo, per altri un capolavoro. La violenza efferata fa parte di tutti i film del regista americano (che dice di essersi sempre ispirato al cosiddetto cinema italiano di serie B, i noti polizieschi un po’ cialtroni di moda negli anni 70), a cominciare dal primo importante successo, Le iene. Quello che in molti non hanno mai colto, oltre all’estremo senso dell’umorismo, è che Tarantino sa esprimere benissimo tutta la banalità del male. Come nella scena del film citato dove i due gangster hanno preso in consegna un ragazzetto che ha compiuto uno sgarro e discutendo in macchina con la pistola in mano a John Travolta parte involontariamente un colpo che sfracella la testa del ragazzo spargendo brandelli di carne e cervello ovunque nella macchina. Il suo compagno reagisce infuriato, ma solo perché l’amico gli ha sporcato la macchina. Nei suoi film, la vita quotidiana di balordi della criminalità che passano dai gesti più comuni e normali a piantare una siringa nel petto di una drogata in overdose, sono la caratteristica. Tutto l’opposto di un film come Gomorra, dove invece il male è male per il gusto del male. Che adesso, come si sente dire in giro, Tarantino girerà un film su Charles Manson, una volta definito l’uomo più pericoloso d’America ci sta. Se confermata la notizia, Tarantino ne potrà trarre un altro dei suoi capolavori.



Il suo genio infatti si esprime anche nel realizzare storie che scorrono, del tutto inventante, a fianco della realtà, sempre quella cruenta, come nel film Bastardi senza gloria ambientato al tempo del nazismo. Straordinaria la sparatoria nel bar dove i finti nazisti vengono scoperti. Di un ennesimo film documentario che racconti la storia del capo psicopatico di una comunità di hippie che spinse i suoi aderenti a compiere la famosa strage di Bel Air, in cui fu uccisa l’allora moglie, incinta, del regista Roman Polanski e altre persone, non ce n’è infatti bisogno. Ne abbiamo visti già a dozzine sull’argomento, più o meno ben fatti. Tarantino ha invece la possibilità di giocare su quella storia, cavandone fuori la banalità del male di uno sfigato, che è quello che era Manson, cresciuto sin da bambino nelle galere americane, figlio di una prostituta, pieno di rabbia e voglia di rivincita, che vuole approfittare del periodo massimo dell’utopia hippie per diventare una rock star. Nota bene, benché condannato all’ergastolo, e si trovi in carcere dalla metà degli anni 70 in totale isolamento e ogni sua richiesta di libertà sia regolarmente respinta, Manson non ha mai ucciso nessuno. Ha solo plagiato mentalmente dei giovani facendo loro compiere il massacro.



Sorta di sogno americano al contrario, la storia di Charles Manson nelle mani di Tarantino potrà offrire molti spunti interessanti. E naturalmente tanta violenza: ci aspettiamo di vedere il ventre in gravidanza di Sharon Tate squarciato a coltellate come accadde quella notte del 1969. E se invece decidesse di raccontarci della sua vita dopo la strage, in carcere? Del marcire girono per giorno nella solitudine? Chi può saperlo, anche Tarantino del tutto normale non lo è… Quello che lasci aun po’ incerti è la scelta di Brad Pitt come protagonista, ma non è detto che sia lui Manson, che potrebbe anche non apparire nel film.

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