Paolo Villaggio è morto. In queste ore non mancano, tra tv, giornali online e social, i tributi, gli aggettivi per descrivere l’attore genovese. Il più ricorrente sembra essere “geniale”. Non so se fosse realmente tale. Difficile parlare di un uomo quando ben più nota e ingombrante è la maschera che ha indossato per anni e che l’ha reso celebre (benché non siano mancate altre interpretazioni non insignificanti). Di certo geniale è stato il suo modo di rappresentare uno spaccato della società italiana, anche di descriverlo con un’inconfondibile voce fuori campo (pare, va specificato, non una sua idea). Non dico, come ha scritto Diego Abatantuono, che il primo film di Fantozzi fosse da Oscar (anzi, forse gli ultimi non andavano nemmeno fatti). Tuttavia ha portato sul grande schermo degli sketch diventati in certi casi dei veri e propri cult. Quante volte, ancora oggi, si dice, per descrivere un fatto realmente accaduto, di essersi trovati davanti una “scena fantozziana”? 



Il punto è che Villaggio ha messo in campo un’ottima satira su noi stessi, sui nostri vizi, i nostri comportamenti sociali, nel mondo del lavoro. I “dott ing gran mascalzon di gran croc lup mann figl di putt” sono solo personaggi dei film o anche persone in carne e ossa che usano i loro titoli come mezzi per esercitare un potere sugli altri? Villaggio, nella premessa del libro “Fantozzi”, ha scritto: “Con Fantozzi ho cercato di raccontare l’avventura di chi vive in quella sezione della vita attraverso la quale tutti (tranne i figli dei potentissimi) passano o sono passati: il momento in cui si è sotto padrone. Molti ne vengono fuori con onore, molti ci sono passati a vent’anni, altri a trenta, molti ci rimangono per sempre e sono la maggior parte. Fantozzi è uno di questi”.



Un padrone contro cui in ogni caso si lotta, anche con grande coraggio. Chi non ricorda la scena della partita di biliardo o quella della Corazzata Kotiomkin? Ecco cosa ha detto lo stesso villaggio in un’intervista a proposito delle parole irriguardose verso la pellicola russa: “Non è il film in sé, quanto il fatto che non si potesse dire niente contro il diktat culturale del partito. Quando dissi quella frase, attaccai proprio quel mondo. Per la prima volta da sinistra si levava una voce contro la santificazione di certi miti”. E il Fantozzi comunista della parte finale del primo film non è stato forse profetico rispetto al destino di una certa sinistra?



Dietro alle risate c’erano delle forti denunce, una satira senza tempo, ancora attuale, come nella scena relativa alle imminenti elezioni, in cui Fantozzi cercava di formarsi un’opinione e leggendo giornali, guardando tribune politiche in tv, ascoltando la radio, giungeva a una “sua personalissima decisione politica” (si badi bene che, a differenza degli astenuti di oggi, il Ragioniere non rinunciava a esercitare il diritto di voto).

Lo spazio non sembra bastare per parlare anche di quelle “pennellate” sulla vita sociale e i costumi degli italiani, come la sacralità di una partita della nazionale, l’indimenticabile match scapoli-ammogliati, le attività del dopo lavoro, la lotta per un parcheggio, i pagamenti a kg di cambiali. E che dire dei congiuntivi alla Fantozzi?

Un personaggio tanto amato, quanto odiato. I suoi detrattori non sono mancati e non mancheranno neanche adesso. Ma il mio personalissimo grazie per delle risate, accompagnate da una riflessione (anche amara) su noi stessi, oggi non può mancare. Grazie Paolo Villaggio (con la consapevolezza che professionalmente – e probabilmente umanamente – eri più del Ragionier Fantozzi Ugo, matricola 1001/bis dell’Ufficio sinistri).