Miguel Leon è un medico chirurgo spagnolo. Impegnato sul fronte africano nella guerra in Sud Sudan, sotto l’egida delle Nazioni Unite, combatte ogni giorno per aiutare migliaia di persone provate dalla povertà, dai conflitti locali e dagli orrori di chi vuole prevalere sull’altro. In uno scenario di profonda instabilità, egli affida il proprio cuore a Wren Paterson, brillante e coraggiosa direttrice di un’organizzazione umanitaria, che incontra sul campo. Una storia d’amore che dovrà scontrarsi con difficoltà oggettive e con due modi diversi di intendere la propria missione.



In concorso al Festival di Cannes 2016 dov’è stato fischiato, massacrato indistintamente dalla critica italiana all’uscita nelle sale, Il tuo ultimo sguardo è un film incolpevole di tanto accanimento.

Accusato di voyeurismo, superficialità, opportunismo, il film ha riunito in un solo e inspiegabile coro una gran pletora di commentatori. ma per noi, nonostante tutto, è un film che merita attenzione. Non solo ha una spiccata cura di ogni aspetto visivo, ma ha anche il giusto equilibrio di un film al tempo stesso fruibile e impegnato, centrato sul problema e preoccupato non tanto di dimostrare quanto di raccontare una storia. Che non è solo e solamente una storia d’amore.



La bellezza di Charlize Theron, con cui il regista ha avuto una storia d’amore, non impedisce alle immagini di esaltare la gravità dell’inferno africano. Non è necessario infatti usare camera a spalla e immagini sporche, come piace a tanto cinema contemporaneo, per salire a bordo del dramma. Ed è così infatti che Sean Penn, regista e attore impegnato e pluripremiato, sceglie una strada oggi più inconsueta e forse un po’ stridente per raccontare il tema, ma il suo linguaggio sembra avere in più un valore narrativo, che alterna la pace alla guerra, la speranza alla disillusione, la vittoria alla sconfitta, portando lo spettatore a vivere sulla propria pelle la precarietà di un’esistenza che scommette ogni giorno su se stessa.



Se si ha il coraggio di astrarre dal gossip giornalistico che tutto ingigantisce e deforma per concentrarsi sul racconto, si apprezza la storia di Miguel (Javier Bardem), medico di frontiera come migliaia di altri coraggiosi medici che guardano la morte in faccia. Un uomo sprezzante del pericolo e capace di piangere quotidianamente nel silenzio di se stesso per ogni vita salvata. Un uomo che vive d’emergenza e non perde tempo guardando altrove, per cercare soluzioni globali al problema, perché la soluzione è regalare una vita in più. Qui e ora. In questa frenetica battaglia sul campo trova spazio l’amore precario, tanto profondo e intenso quanto fragile e condizionato, poiché servo di una missione più grande.

Tra una barbarie e l’altra, tra una rapina e un massacro, tra una tortura e un’umiliazione, si insinua timidamente la passione tragicamente umana, che cerca respiro dall’orrore. I silenzi, le parole sussurrate, il contatto fisico sono il tempo per prendere fiato. L’amore si fa strada onestamente, senza mai prendere il sopravvento sui fatti, che scorrono incessanti, spietati, strazianti, come la storia di questo mondo spietato e ingiusto, che la voce narrante racconta, come in un film di Malick.

Wren Peterson (Charlize Theron) questo mondo prova a cambiarlo, ereditando dal padre la missione di pace. Si sporca le mani, cerca di galleggiare nel fango. Combatte coraggiosamente al fianco di Miguel. Per lui, per il padre, per il pianeta che soffre. Insieme sono una storia, una delle tante. Non il loro stereotipo, non la loro banalizzazione. Una storia, eccezionale e banale, fatta da persone silenziose e necessarie che vivono ai margini del mondo. Persone da ammirare.

Ed è un peccato che la critica, e la distribuzione, non abbiano premiato una storia importante, che tornerà nel suo silenzio, senza essere raccontata.