1989, Berlino. Negli anni della caduta del muro e della fine di un’epoca, presta ancora servizio l’agente Lorraine Broughton, prestante, coraggiosa e sensuale pedina dell’MI6 britannico. Interrogata da un suo diretto superiore, alla presenza di un rappresentante della CIA, Lorraine sembra portare con sé i segreti di una missione pericolosa, volta a recuperare la lista degli agenti occidentali sotto copertura. Un file in grado di mettere a rischio la pace globale.



Nell’epoca delle pari opportunità, anche la donna vuole essere un po’ James Bond o il cugino Jason Bourne. Ed è così che, dopo l’atomica mora di Salt, interpretata da Angelina Jolie, è la volta dell’Atomica bionda Charlize Theron, premio Oscar di bravura, ma per tutt’altri film.

Qui Charlize è la copia dell’eroe maschile: sfodera musi perennemente ingrugniti, mirabolanti collezioni di colpi d’arma o di mano, fantomatiche acrobazie da stuntman consumato. E incassa colpi che sporcano e insanguinano il suo viso tumefatto quanto basta. Ma la stella brilla perenne, per due ore, immune al brutto e al volgare. Accompagnata da tacchi da sfilata e abiti da urlo, l’eroica spia britannica come Bond sopravvive ad agguati e tradimenti, seguendo missioni impossibili e diffidando, a ragione, del mondo intero e ostile.



Programmata per uccidere, o anche solo far male, Charlize Theron è l’algoritmo cinematografico che incolla lo spettatore bavoso, che mai riesce a distaccare l’occhio dal suo sogno incarnato in supereroe. 

C’è una storia di spionaggio, con tutti i protagonisti prescritti da copione e servizi segreti in gran completo, che svela colpi di scena copiosi e gustosi. C’è il muro di Berlino, nell’anno del muro di Berlino e del suo crollo, catalizzatore di cambiamento, ma inevitabilmente radicato nelle buie cospirazioni della Guerra fredda. C’è il fascino seduttivo di James Bond e dell’eroe maschile, che qui si incarna in corpo femminile, moltiplicandosi nei panni di una dea esplosiva, una bionda bomba atomica.



Nei canoni del genere il film dice la sua, supportato da immagini dense di storia, da musiche da musical, revival dei gloriosi anni ’80 e da una regia da applauso che racconta gli scontri umani con inaudita fisicità. I pugni deformano i visi e picchiano davvero, senza rispetto da galantuomini. Charlize incassa, fatica, assorbe con determinazione infinita e, nonostante tutto, sopravvive per regalare il futuro a un nuovo modello femminile di spy story. Non manca un po’ di ironia che recupera spunti ai confini del trash, e qualche pillola di necessaria ragione commerciale, con baci saffici e passionali.

Che mondo sarebbe stato senza Charlize? E senza il frizzante e modaiolo James McAvoy? O il rassicurante e inconfondibile “Flinstones” John Goodman? Cast semistellare, al servizio del disegno commerciale senza intoppi di Universal Pictures. Il film è tratto da una graphic novel di Antony Johnston e Sam Hart, dal titolo “The Coldest City”. Agli intrighi del fumetto David Leitch, al suo primo film come regista, ha aggiunto una buona dose di azione che può soddisfare appassionati di genere e cultori di eroi bidimensionali, in perfetto sentiero mainstream.