Un uomo indaga all’interno di una stazione spaziale sul senso del proprio passato, sulla necessità di fare i conti con le proprie ferite, sull’inevitabilità della scelta tra perdono e rigidità orgogliosa. Intorno a lui accadono cose incomprensibili e terrificanti, e solo la tenerezza di uno sguardo rappacificato potrà rimettere insieme i cocci di un razionalismo che non spiega le cose della vita. Tutto questo, in brevi parole, è SolarisUscito come romanzo nel 1961 a firma di Stanislaw Lem (autore polacco che ha pubblicato in carriera altri titoli importanti della science fiction come L’invincibile, L’indagine e Il pianeta del silenzio) e poi sul grande schermo nel 1972 per opera di Andrej Tarkovskij, questo testo visionario interpretabile su almeno tre differenti piani di significato (psico-tecnologico, politico-sociale ed etico-religioso) è stato trasformato da Fabrizio Sinisi (drammaturgo della compagnia Lombardi-Tiezzi) e dal regista Paolo Bignamini in dramma teatrale ed è una delle proposte di rilievo del Meeting per l’amicizia tra i Popoli (Teatro Novelli, Martedì 22 agosto, ore 21:30).



La scommessa della piece teatrale giunge esattamente 45 anni dopo l’uscita del film nel quale Tarkovskij si confrontava con una serie di questioni impegnative riconducibili a una domanda fondamentale: che fare se lo scientismo razionalista non riesce a spiegare nulla delle domande più ingombranti dell’uomo, quali il rapporto con la morte, con la sparizione degli affetti, con il dolore generato dai propri comportamenti, con il senso del tempo? Non sembra proprio un caso, dunque, che il Meeting che ha per titolo “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”, abbia inserito Solaris nel suo cartellone, proprio perché l’opera di Lem analizza una società laddove vengono sradicati valori e dimensioni affettive, familiari, religiose, sociali, culturali.



La vicenda di Solaris vede Kris Kelvin, uno psicologo del futuro prossimo, trovarsi sulla Solaris Station per capire cosa sta accadendo all’equipaggio di questa astronave che orbita attorno al misterioso pianeta Solaris, inquietante corpo stellare costituito di magma pensante. Sulla navicella regna un gelido caos popolato da figure riemerse dal passato degli astronauti-scienziati; in breve anche Kelvin viene coinvolto in questa reificazione di sogni e affetti (gli si materializza la moglie Hari, morta suicida) e deve così decidere se convivere con la propria memoria oppure eliminarla. L’epilogo della vicenda dichiara apertamente che c’è vita solo nel coraggio con cui Kelvin affronta il futuro senza paura del passato, con tutto il suo carico di dolore e mistero.



Ridurre tutto questo in una piece teatrale non è sfida da poco. Rinunciando per ragioni di mezzo espressivo alle visionarietà tarkovskiane, il Solaris teatrale conferma quel mix di lentezza e vertigine che è del film, mettendo in scena la necessità di rendere fisica la memoria, di renderla tangibile per farne una forza creatrice, quasi religiosa. In scena i tre protagonisti della piece alternano la loro presenza su tre piattaforme-iceberg immerse nell’oceano del pianeta Solaris, quasi, afferma il regista Bignamini, a “simboleggiare gli spazi dove i personaggi si confrontano con lo sconosciuto”. Un confronto a cui contribuisce l’essenzialità del linguaggio teatrale, con le scene di Francesca Barattini, i costumi di Gerlando Dispenza e le luci di Fabrizio Visconti impegnate a ricreare emozioni gelide nel loro inquietante lirismo. 

Hari ha il volto di Debora Zuin, attrice di scuola Strehler con un curriculum in cui risaltano le collaborazioni con Ronconi e Federico Tiezzi. Giovanni Franzoni (attore dalle mille esperienze, da Dario Argento a Liliana Cavani, da Andrèe Ruth Sammah a Gabriele Salvatores) è un lacerato Kris Kelvin, mentre tocca ad Antonio Rosti (anche lui diretto da registi come Dario Fo, Franco Parenti, Elio Petri…) dare volto al prof. Sartorius, un non-Virgilio che costringe lo psicologo a scoprire le forze interiori per uscire dal girone infernale del mistero senza radici e significato. Tre attori in grado di rendere convincente l’approdo a un perdono che rimette in moto la realtà sospesa nel gioco delle sue ombre e dei suoi drammi.

Rimane da ricordare il brivido del confronto: portare in scena Solaris significa mettersi all’ombra di uno massimi capolavori della cinematografia, uno dei titoli che (con 2001: Odissea nello spazio e Blade Runner) vengono considerati i più importanti film della fantascienza di ogni tempo. Nel 1971 Akira Kurosawa incontrò a Mosca Andrej Tarkovskij, proprio mentre il regista russo stava girando Solaris. Il maestro giapponese raccontò quell’incontro in un suo articolo nel 1977 e descrisse Tarkovskij come uno dei rari cineasti che “non tentano di spiegare tutto delle loro opere”, lasciando che un mistero e una fascinazione ultima parli per loro. Kurosawa, dopo aver visto il film, lo definì il più grande prodotto della sci-fiction su grande schermo. Complimenti, quindi, a Sinisi e Bignamini per il coraggio drammaturgico: non è da tutti buttarsi in un’avventura simile.