Quando il tema sono le menzogne, le storie inventate ad arte e i pregiudizi, un film spicca tra gli altri: I soliti sospetti. Si tratta di un’opera geniale diretta da Bryan Singer in cui si racconta, tramite un lungo interrogatorio da parte di un’agente doganale, dell’attività di alcuni criminali. L’interrogato e voce narrante del film è un monco detto Verbal ed è interpretato da Kevin Spacey che con questo film vinse l’Oscar come miglior attore non protagonista. Verbal si è trovato invischiato in una brutta storia ed è l’unico sopravvissuto di un autentico massacro tra criminali. In realtà è già stato prosciolto dal procuratore, ma viene interrogato lo stesso dall’agente Kujan che ha dei forti sospetti sull’origine del caos in cui Verbal si è trovato invischiato. Egli viene considerato un truffatore di mezza tacca e l’agente ritiene che si sia trovato in quel massacro per caso e che addirittura sia stato manipolato dai suoi soci per fornire informazioni false alla polizia.
La trama è complessa e non mi dilungo nello sviscerarla visto che sarebbe un autentico crimine fare anticipazioni di questo capolavoro. Quello su cui farei puntate l’attenzione è il metodo con cui l’agente Kujan imposta il lungo interrogatorio. Senza forzare troppo, si potrebbe dire che tutti gli spettatori sono rappresentati proprio da questo agente. Infatti, procede spedito con il suo pregiudizio e non accetta nessun tipo di spiegazione che vada anche solo a modificare i sospetti che ha creato in anni di investigazione. Il povero Verbal quindi si trova quasi costretto a raccontare la storia che l’agente vuole sentire. In tutto questo, però, c’è una svolta geniale di uno dei personaggi del film (che mi guardo bene dallo spoilerare). Una persona userà i pregiudizi degli altri, compresi quelli degli spettatori, per raccontare una storia che assecondi i desideri di chi ascolta e che allo stesso tempo gli faccia buon gioco.
L’insegnamento che si porterà a casa chi avrà il piacere di vedere questa splendida pellicola sarà infatti quello di comprendere come attraverso i nostri “soliti sospetti”, detti anche pregiudizi, possiamo essere manipolati e finire per credere a ciò che vuole un altro. Tutti noi rischiamo di essere vittima di questa trappola e occorre grande osservazione per non caderci.
Racconto a tal proposito un aneddoto personale tratto dal mio lavoro di docente di comunicazione non verbale che ritengo possa aiutare. Qualche tempo fa ho partecipato a un colloquio in cui si valutava l’assunzione di un top manager. L’uomo in questione si era presentato in Porsche nera nell’azienda del colloquio. Aveva un fare sicuro e dopo poco si era imposto come leader e grande oratore durante il colloquio. Solo alla fine ho notato alcuni gesti ed espressioni facciali di incertezza su certe domande. Alla fine del colloquio sono andato dal proprietario dell’azienda e gli ho chiesto di far passare mezz’ora e di rifare da zero lo stesso interrogatorio modificandone però domande e altre dinamiche che non elenco per brevità. Ho avuto la sua approvazione e alla fine del secondo colloquio sono apparse evidenti numerose lacune, per non dire bugie, che il candidato aveva raccontato. Il manager non ha avuto il posto e noi tutti abbiamo imparato che non bisogna in virtù di un’esigenza chiara, avere un manager in poco tempo operativo in azienda, cadere nell’errore di credere a tutto ciò che viene raccontato. Allo stesso modo l’agente Kujan aveva l’obiettivo di confermare la sua piccola ipotesi e ha perso/ha rischiato di perdere (sempre per non fare spoiler) il vero criminale e protagonista di tutta la storia.
Lo stesso Verbal dirà a un certo punto a tal proposito: “La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stata convincere il mondo che lui non esiste”.