Finalmente la banda B&B, Babera e Baratta, ha realizzato un buon festival. Hanno avuto bisogno di alcuni anni per uscire dal deserto provocato dalla gestione del cinese Marco Muller e quest’anno ci sono riusciti, sia con i film e sia con le partecipazioni delle star. Un red carpet da favola: Clooney, Damon, Moore, Redford, Fonda, Howke, Mirren, Bardem e Cruz, Pfeiferr, Carrey, Kitano, Woo e moltissimi altri. È stata una settimana da Oscar.
Alcuni giornalisti stranieri si son lamentati dei troppi film italiani: questi in concorso erano quattro su ventuno (e ci sta) e i film internazionali erano di buon livello. Non mi sembra che al Festival di Cannes i critici abbiano alzato le spade per la bassa partecipazione hollywoodiana. Ma attaccare l’Italia vale in politica, immigrazione e ora anche nel cinema. Quest’anno meglio Venezia che Cannes. È stato un festival che ha parlato di diversità, integrazione, razzismo, violenza, povertà e solitudine. Attraverso le pellicole si è vista la realtà umana del mondo di oggi, la quotidianità che ci circonda.
Non è molto piaciuto ai critici Human Flow di Ai Weiwei, un documentario (un po’ troppo lungo) sulle misere e disperate condizioni dei vari profughi nel mondo. È un documentario e così va preso, forse i giornalisti si dimenticano che nel 2013 al sopravvalutato Sacro GRA fu assegnato il Leone d’Oro. Ha vinto Del Toro con The shape of water, una favola fantasy-horror molto azzardata, una storia d’amore tra una donna delle pulizie muta e un essere mostruoso, nel segno dell’accettazione delle diversità. Buono anche Foxtrot di Samuel Maoz, storia in tre atti, inscenati in maniera creativa e accattivante, sulla notizia della morte di un soldato israeliano. Una riflessione sull’ebraismo, sulla situazione politica vista dalla famiglia che riceve la dolente notizia.
Di integrazione si parla in The Insult che ha fatto vincere la Coppa Volpi maschile a Kamal El Basha, una disputa tra un libanese arabo cristiano e un musulmano. Coppa Volpi femminile alla bravissima Charlotte Rampling per il film Hannah dell’italiano (con accento e passaporto americano) Andrea Palloro, una donna sola avanti nell’età a cui cade una grossa tavola sulla testa. La miglior regia è andata inaspettatamente a Xavier Legrand con Jusqu’à la garde, una coppia che si separa con la reazione drammatica del figlioletto.
Tutti si aspettavano un premio consistente per Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh con una straordinaria Frances McDormand (già Oscar per Fargo). Ha vinto per la sceneggiatura, ma molti lo pronosticavano per il Leone d’Oro. Una donna lotta violentemente contro il sistema per scoprire l’assassino della figlia.
Come vedete, tutte storie che riscopriamo nella vita reale e quotidiana, specchio del mondo. Aggiungiamoci Suburbicon di George Clooney con Matt Damon e Julianne Moore sullo scoppio di una violenza inaspettata, stile condominio nostrano, a conferma di quanto ho appena scritto.
Parliamo ora degli altri italiani. Da collezione Ammore e Malavita dei Manetti Bros (io li adoro) per il loro musical in dialetto napoletano. Di sostanza The Leisure Seeker di Paolo Virzì (guardate La Pazza Gioia) con H. Mirren e una interpretazione da Oscar di D. Sutherland. Speriamo di veder partecipare questo film alla premiazione di Hollywood, lo meriterebbe. Una famiglia di Sebastiano Riso è un film drammatico, già dal titolo si intuisce di cosa tratta, stringe il cuore.
Dulcis in fundo. Ma J. Fonda e R. Redford volati a Venezia per ricevere un premio alla carriera? Grandissimi. Onore alla banda B&B, Barbera e Baratta.