Fabrizio Corona deve restare in carcere: l’istanza di scarcerazione è stata respinta dal magistrato di sorveglianza di Milano. Lo ha annunciato l’avvocato difensore dell’ex re dei paparazzi, Ivano Chiesa, ai microfoni di Mattino Cinque. La speranza dell’ex fotografo era di tornare a casa o almeno di andare ai servizi in comunità, ma invece resterà in carcere. «Siamo tutti senza parole e sotto shock», ha dichiarato l’avvocato Chiesa durante il programma mattutino di Canale 5. Poi ha spiegato la motivazione della decisione del Tribunale di sorveglianza di Milano: «Mi hanno detto che l’istanza di scarcerazione che abbiamo presentato è prematura. Ricordo che Fabrizio è in carcere da un anno gratis e per niente. Altro che prematura». Il legale ha poi parlato della reazione del suo assistito alla notizia che non uscirà dal carcere: «È abbattuto e arrabbiato perché questo non se l’aspettava». Ora Fabrizio Corona sta pensando di protestare contro la decisione con uno sciopero della fame: «Gli ho detto di ragionare, di non fare così ma lo conosco, ha un carattere molto forte ed è un uomo molto determinato e secondo me lo farà e quando lo farà lo farà fino alla fine perché lui dice che ora si sente un sequestrato». La decisione resta difficile da accettare per Fabrizio Corona e il suo legale: «Ha fatto di tutto: è stato buono, è stato zitto, abbiamo fatto il processo subendo di tutto, abbiamo fatto l’istanza, si è fatto il mese d’agosto in carcere con 50 gradi e ha non ha mai detto niente… ora dicono no alla scarcerazione».
ECCO LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA “LIGHT” DI GIUGNO
Fabrizio Corona non è un delinquente professionale: lo hanno riconosciuto i giudici nelle motivazioni della sentenza “light” pronunciata nel giugno scorso. La Dda aveva chiesto una condanna di cinque anni per l’ex fotografo dei vip, ma i giudici Guido Salvini, Andrea Ghinetti e Chiara Nobili hanno spiegato nelle motivazioni che non è possibile ritenere «che egli viva abitualmente del provento dei reati». I giudici hanno giudicato i 2,6 milioni di euro «ricavi in nero di Fabrizio Corona ed è inconsistente l’ipotesi che certamente aleggiava nel corso delle indagini preliminari della Dda, secondo cui le somme sequestrate potessero avere un’origine diversa dallìattività imprenditoriale di Corona». Esclusa quindi l’ipotesi della collusione con la mafia, cioè di essere riciclatore di soldi sporchi. Il fatto che però non sia stato giudicato un delinquente professionale, ai sensi dell’articolo 105 del codice penale, non ha agevolato Fabrizio Corona nella richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali, diversamente da quanto ci si aspettava.