La suggestiva bellezza del quartiere di Hampstead, a Londra, con il grande parco, il laghetto, le case in mattoni, è celebrata nel film di Joel Hopkins, che dirige una commedia tenera e aggraziata, anche se non perfetta. Tendenzialmente perfetta è però Diane Keaton nel ruolo di Emily, vedova americana che vive in una splendida casa proprio davanti al parco e che, dopo la morte del marito, cerca di convivere con i debiti ricevuti in eredità e con le “amiche” del palazzo, signore inglesi ricche e antipatiche con cui non sembra avere molto da spartire. 



La sua vita cambia quando scopre che Hampstead Heath offre rifugio a un uomo singolare, Donald Horner (Brendan Gleeson), un irlandese fuggito da un passato infelice. Anni fa Donald si è costruito una baracca e si è reso autosufficiente: pesca nel lago, produce ciò che gli serve e non chiede niente a nessuno. Emily è attratta da Donald e insiste per aiutarlo a difendere la sua terra, minacciata da un imprenditore che intende costruire nuove abitazioni di lusso. Nasce così una storia d’amore in età avanzata, con momenti comici e altri più romantici, che porta entrambi a rivedere le proprie convinzioni e a darsi una seconda occasione.



La vicenda, in realtà, si ispira alla vita di Henry Hallowes, un uomo che ha scelto di seguire le proprie regole, restando fuori dagli ingranaggi del consumismo, ed è stato processato come squatter dai tribunali inglesi. Gli spunti più interessanti e “caldi”, tuttavia, non sono approfonditi a dovere: i problemi causati da un mercato immobiliare che stritola la gente, l’occupazione abusiva del suolo pubblico, i debiti, l’indipendenza economica, sono trattati in modo superficiale, come se non si volesse turbare l’atmosfera un po’ fiabesca della storia.

L’intero film è dipinto a tinte pastello, senza esagerare con la commedia (sono poche le scene davvero divertenti) e senza calcare sui toni drammatici (il passato dei protagonisti è appena accennato). Si confeziona così un prodotto rassicurante, gradevole, che può contare su una splendida fotografia e sulla bravura degli interpreti. 



In particolare, il personaggio di Diane Keaton racchiude in sé una grande umanità, in bilico tra un passato pieno di cose, luoghi e ricordi e un futuro che può ancora essere costruito in modo diverso. Emily sembra totalmente diversa da Donald, ma entrambi hanno bisogno di un motivo per voltare pagina, per trovare una dimensione nuova senza però rinunciare a certe abitudini e bisogni a cui sono affezionati. Dallo stile, dal comportamento, capiamo che Emily non stravolgerà del tutto la sua vita agiata; sarebbe irrealistico pensare che una donna come lei possa vivere in una capanna, passando da un estremo all’altro della scala sociale. È bello che i personaggi trovino una loro via, una loro nuova collocazione, prima di ritrovarsi. 

In fondo, quello che il film lascia è un messaggio di speranza, un invito a riconoscere le gabbie in cui noi stessi sappiamo imprigionarci, a volte, per paura di cambiare, di osare, di andare contro ciò che è comunemente ritenuto “normale”, e a concederci una possibilità.