I gatti ed il teatro hanno rappresentato una parte importante nella vita dell’ora fragile Franca Valeri, la quale a 97 anni si è raccontata in una lunga intervista a cura di Antonio Gnoli, per l’inserto culturali di Repubblica, Robinson. Una vita lunga, la sua, ma anche estremamente fortunata, come la stessa attrice riconosce oggi, alla luce di tutte quelle occasioni che, racconta, “si sono presentate senza che le determinassi”. Chiaramente riconosce anche che in un mestiere come quello che lei ha fatto per l’intera esistenza, il talento gioca necessariamente un ruolo importante. “Possiamo sostituirlo con bravura, creatività, istinto e, nei casi più rari, genialità. Ma alla fine è una condizione inconoscibile”, ha commentato. In lei, tale elemento è emerso con estrema naturalezza durante la recitazione. Proprio il teatro ha rappresentato una sorta di richiamo sacro: “Senza sacralità non si capirebbero i riti che vestono il teatro e la crudeltà che lo segna”, ha commentato. Una “crudeltà” intesa come “necessità”, una forza alla quale non puoi fare altro che sottometterti, tale da conferire al teatro un’importanza addirittura superiore alla letteratura.
LA FUGA IN SVIZZERA
Una rovinosa caduta in casa, avvenuta lo scorso anno, ha segnato per Franca Valeri anche la fine della recitazione, a causa della rottura di cinque costole e di una riabilitazione molto lenta. Ma l’attrice non si lamenta affatto: “Lasciamo le lacrime ai giovani”, dice, “Loro hanno diritto di piangere con quello che gli sta capitando”. La retorica, a sua detta, forse è presente sull’attuale situazione che coinvolge le giovani generazioni, ma è anche vero che la mancanza di un futuro pone necessariamente delle domande. Ed inevitabilmente il pensiero va a lei da giovanissima. Già da bambina coltivava il desiderio di recitare, di esprimere quella vocazione che in lei sentiva forte ma alla quale era difficile dar voce per via di quel periodo in cui nacque. Era alla fine della Prima guerra mondiale, alla quale fece seguito il Fascismo, “che scambiò la vita delle persone per un teatro permanente e mediocre”. Nel dopoguerra però, arrivò il suo momento di felicità. La sua famiglia non prese benissimo la sua estrema voglia di fare teatro. Suo padre contestava l’assenza di precedenti in famiglia (cosa non del tutto vera per via di una lontana cugina ballerina), ma poi ebbe modo di ricredersi. Accadde una sera, quando andò a vederla a teatro notando come la gente si divertisse applaudendola. “Il giorno dopo mi disse che avevo riposto molte ambizioni su di me e che dopo avermi visto attrice aveva avuto la certezza che non sarei fallita”. Lei e la sua famiglia, per poco non vissero il dramma delle tante famiglie ebree. Il padre, ingegnere della Breda, fu allontanato per questioni razziali e l’intera famiglia Valeri riuscì a trovare riparo in Svizzera: “Anche in quell’occasione fui fortunata, mi venne risparmiato il dolore atroce delle tante famiglie ebree disperse, distrutte e annientate”. Dopo la guerra fecero ritorno in Italia.
LA CARRIERA, IL PRIVATO, LA SOLITUDINE DI FRANCA VALERI
Un ritorno in patria che coincise con l’inizio della carriera artistica di Franca Valeri grazie all’amicizia con Vittorio Caprioli. “Ci dicemmo che era venuto il momento di trovarci un lavoro e passammo in rassegna gli attori che avrebbero potuto aiutarci. La scelta cadde su Sergio Tofano”, racconta. Iniziarono così i primi spettacoli, seguiti dalle nozze con Caprioli che durano poco meno di 15 anni. Successivamente entrò nella vita di Franca il musicista Maurizio Rinaldi che accese in lei un’altra grande passione, l’opera. Ad accomunare i suoi due uomini furono però i tradimenti, ma su caprioli ancora oggi l’attrice riserva parole di stima per la sua arte, seppur ritenuta incompresa. Tra le sue collaborazioni lavorative anche quella con Alberto Sordi, con il quale realizzò ben sette film. “Mai uno screzio, una insofferenza, una caduta di stile”, ricorda l’attrice evidenziando lo straordinario talento della sua comicità. Ma nel corso della sua carriera ha avuto modo di lavorare con altri grandi nomi, da Totò a De Sica fino a Eduardo De Filippo.
Oggi Franca Valeri ha scritto un libro, “La stanza dei gatti”, dove il teatro viene raffigurato come un vecchio signore. Qui si definisce una “donna sola”, ma è stata la sua intera carriera ad essere quasi sempre “solitaria”. Anche nel privato, il suo destino è stato quello di essere lasciata sola: “Quando perdi i genitori, gli uomini che hai amato, gli amici che non ci sono più, la solitudine diventa una condizione imprescindibile”, racconta. Ma la sensazione di essere stata abbandonata non l’ha mai sfiorata. Oggi, le capita spesso di non riuscire a prendere sonno ed è in quei momenti che si diletta nel perdersi nei ricordi: “La mente si rigenera nel ricordo e ci dimostra che siamo ancora vivi”, dice. A lei non resta che scrivere ed in cantiere c’è già un nuovo libro che le piacerebbe intitolare “Il secolo della noia”. Racconterà del tempo in cui viviamo oggi, in cui nulla di ciò che aspettavamo con l’arrivo del Duemila si è concretizzato. A rimanere è solo questa noia “per il progresso, per le banalità televisive, per le cattive notizie, per i ciarlatani della politica che hanno scambiato il Parlamento per il teatro ma non sanno nulla del vero teatro”.