Sembra un paradosso eppure più è delicata e problematica la situazione politica degli USA più il cinema sembra in grado di raccontarla con arguzia. Così era negli anni 70 del Watergate e del declino di Nixon, così pare essere nell’America delirante di Trump e del ritorno del KKK e dei nazisti di Charlottesville. Pare dimostrarlo anche Miss Sloane, l’ottimo film di John Madden interpretato da Jessica Chastain nelle sale dal 7 settembre.



La Miss del titolo è una lobbista, la migliore a Washington nel convincere deputati e senatori ad aiutare gli interessi delle multinazionali. Ma quando le chiedono di aiutare l’associazione delle armi a non far promulgare una legge che ne limiterebbe vendita e utilizzo, Sloane passa ai rivali, ossia a coloro che cercano di far passare quella legge. Svolta morale o ambizione professionale?



Lo si scopre attraverso le udienze di una commissione che indagano proprio su di lei è che fanno da cornice alla sceneggiatura di Jonathan Perera che con Miss Sloane scrive un dramma politico con influenze da legal thriller che mostra un grande amore per il lavoro di Aaron Sorkin (scenggiatore di The Social Network di Fincher, Steve Jobs di Danny Boyle e di serie tv come The West Wing e The Newsroom).

DI Sorkin infatti Miss Sloane ha soprattutto il lavoro e l’uso della parola come elemento principale del racconto e della messinscena, utilizzando proprio le parole per raccontare la politica americana contemporanea e per analizzare con una certa raffinatezza la società americana dei piani alti, quella che sa come manipolare l’opinione pubblica attraverso le fake news, quella che disprezza l’intelletto per usare a proprio uso e consumo la cosiddetta pancia dell’uomo comune. Che nel film non si vede mai, resta fuori campo, perché alla società che fa da humus alla politica interessa molto poco: Madden si concentra sulla vittoria e su come – anche quando si sta dalla “parte giusta” – si possa e debba raggiungere anche attraverso la distruzione della verità, del buonsenso.



Un film amaro e avvincente che del magistero di Sorkin ha anche l’uso del ritmo, del colpo di scena mai gratuito, della fluidità dei movimenti di macchina, tanto che anche un regista spesso propenso all’accademia e alla melassa (in curriculum Madden ha Shakespeare in Love, Il mandolino del capitano Corelli, per esempio) ha un vigore di messinscena, una velocità di passo unita a una sottile e fertile ambiguità di sguardo da rendere Miss Sloane forse il suo migliore film, anche perché è capace di parlare di politica e attualità attraverso un impianto di genere sempre più schietto (finale davvero convincente), attraverso la capacità di coinvolgere il pubblico oltre che di interessarlo ai suoi discorsi.

E in buona parte lo si deve anche a una sontuosa Chastain, donna pilastro della pellicola, capace di giocare con sguardi, sfumature, movimenti, di sedurre e agghiacciare, di incarnare tutte i temi del film attraverso la sua figura, il suo modo di pronunciare le frasi. I suoi comprimari non le sono da meno, Mark Strong e John Lithgow per esempio, ma la miss dai capelli rossi conferma ancora di essere la migliore attrice americana della sua generazione.